La solitudine di un letto a tre piazze

mercoledì, 25 novembre 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Del libro-memoriale di Patrizia D’Addario, dal titolo felliniano “Gradisca, Presidente” (scritto con Maddalena Tulanti, pubblicato da Aliberti Editore), per ora ho letto solo l’anticipazione su “Il Fatto Quotidiano”. Mi è bastato per apprezzare il coraggio di questa donna che si espone dolorosamente –quali che fossero le ragioni della sua duplice, squallida visita a Palazzo Grazioli- ma nello stesso tempo mi ha trasmesso una sensazione mortifera. Quasi che la bella signora barese a cui tutti danno del “tu” per via del mestiere esercitato, portatrice di una storia zeppa di violenze senza che gliene ritorni indulgenza alcuna dai benpensanti, toccando il Potere e gridandolo trasmettesse il disagio della cattiva coscienza di un intero paese di puttanieri.
Mi scuserà, Patrizia D’Addario, e del resto se è superstiziosa saprà benissimo che accostamenti del genere portano buono, ma leggevo lei e pensavo a Brenda, la transessuale di 32 anni finita anch’essa in un gioco talmente più grande di lei da rimetterci la vita venerdì 20 novembre 2009, dopo le 4 del mattino, rientrata nel suo monolocale al termine di un’altra notte romana di ordinaria prostituzione.
Chissà chi è stato l’ultimo cliente di Brenda. Se l’abbia attirato, eccitato la celebrità conseguita insieme allo spavento da quella figura tormentata, incapace di dominare il gioco in cui veniva adoperata da un presidente di Regione, dei carabinieri, dei pusher di polvere bianca e di filmati opachi.
Brenda e Patrizia, ombre d’infelicità che aleggiano sul potere italiano adoratore del proibito, innamorato del suo stesso corpo, inappagato nella sua ricerca artificiosa del piacere. Non si offenda dell’abbinamento, signora D’Addario. Sapesse quante se ne dicono sul suo conto. Ma come? Date retta a una prostituta? Una che vendeva il suo corpo per una licenza edilizia? Una che tradisce il cliente registrandone i sospiri e per poi venderli ai suoi peggiori nemici?
Vorrei tanto che, se non altro per compassione (sentimento nobilissimo, quando è sincero), lei non accampasse distinguo di genere sessuale o di rango sociale nei confronti di Brenda. Pur nelle vostre differenze personali, restate entrambe ai miei occhi infinitamente più rispettabili dei vostri clienti, paganti o utilizzatori finali, camionisti o presidenti che fossero.
Le scene e i dialoghi descritti da Patrizia D’Addario nell’harem dove l’hanno trasportata a bordo di un pullmino dai vetri oscurati, e dove la prima volta risultò la preferita fra venti altre, la seconda volta solo fra tre, “molto carina”, grondano d’imbarazzo. Risultano patetici soprattutto i dettagli riguardanti il maschio attempato che vi usava per ripetere a se stesso: “Piaccio ancora, tutte queste donne mi dicono di sì per via del mio fascino”. Anche se in fondo al suo cuore sapeva benissimo che i motivi della sottomissione femminile tributatagli erano altri.
Con la trans Brenda i meccanismi erotici saranno stati un po’ diversi, che importa. Ma in comune ritrovo l’illusione che il sesso sia una merce come le altre, scambiabile nel meccanismo di una compravendita attraverso il denaro, il baratto, la concessione, il raggiro.
I potenti che presso di voi andavano in cerca di un’autenticità di relazione intima perduta, ne traggono un’infelicità non diversa da quella provata dai loro sudditi. Tanti di noi vorrebbero un baldacchino con materasso putiniano a tre piazze. Sottovalutando come ci si possa sentire soli lì in mezzo.

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