La guerra civile inizia da una parolaccia

mercoledì, 9 dicembre 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Il turpiloquio sessuale d’impronta maschia, non mi stupirei se concordato avvalendosi di uno studio di marketing, contraddistingue le reazioni berlusconiane alla testimonianza del criminale mafioso pentito Gaspare Spatuzza.
Feltri e Belpietro hanno titolato all’unisono su “Il Giornale” e “Libero”, quasi rispondessero a una velina, con la parolaccia: “Minchiate”. Che la Tv ha provveduto a trasmettere nelle case della maggioranza degli italiani, disabituati alla lettura dei quotidiani. In precedenza il lesto portavoce Capezzone aveva anticipato il premier nell’accusare i giudici che “sputtanano” –altra raffinatezza- Lui e quindi l’intero paese.
Scusate se mi soffermo sul dettaglio volgare. Il riferimento siculo all’organo genitale maschile e al disonore racchiuso nella figura della prostituta sono a mio parere messaggi subliminali. Dicono al popolo: ora è davvero guerra civile, non siamo più in grado di trattenerci nel linguaggio, faremo assaggiare ai nemici la nostra furia.
Con le parole strillate nei titoli di giornale e censurate al Tg in Italia nei mesi scorsi si è già calpestato un uomo, il dimissionario direttore di “Avvenire”, Dino Boffo. Salvo imporre al suo manganellatore mediatico Vittorio Feltri –tre mesi dopo, suppongo nell’ambito di una trattativa legale e diplomatica- di rendere omaggio alla propria vittima. Senza vergogna.
La vergogna, appunto, o se volete il dubbio di essere d’impiccio con le proprie vicende matrimoniali, gli illeciti aziendali, le frequentazioni deplorevoli a una dialettica democratica proficua nell’interesse del paese, sono scrupoli messi da parte quando si evoca la guerra civile. Meglio il turpiloquio macho per far capire a tutti che stavolta il Potente ferito è disposto a andare fino in fondo, e guai al seguace che mostrasse tentennamenti sul campo della battaglia decisiva.
Venerdì 11 dicembre dovrebbe toccare ai fratelli Graviano testimoniare nell’aula di Torino, confermando o meno i contatti fra il loro clan mafioso e il gruppo imprenditoriale di Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri. Questi legami ha testimoniato il loro picciotto Spatuzza. Le sue affermazioni su Fininvest necessitano di severa verifica fattuale così come le altre già rilasciate sui crimini da lui commessi (non basta che si siano rivelate fin qui esatte). Ma a prescindere da quel che diranno i fratelli Graviano mi si deve spiegare perché la magistratura non avrebbe fatto il suo dovere ascoltando il pentito Spatuzza, rivelatosi credibile nella ricostruzione dell’attentato Borsellino, anche sulle protezioni politiche ricercate a Milano da un clan mafioso importante.
Forse che le indagini di mafia andrebbero sospese quando riguardano i colletti bianchi, gli uomini delle istituzioni, i politici? Non sarebbe utile sapere in quali attività finanziarie e imprenditoriali vengono riciclate le somme imponenti del capitale mafioso? Se perfino il primo banchiere del giovane Berlusconi, Carlo Rasini, sosteneva lecito “sbizzarrirsi” sulle origini del 20 per cento dei capitali costitutivi le prime società da cui ha avuto origine Fininvest, perché dovremmo escludere a priori un’indagine nel merito?
Fa male all’Italia il processo per mafia al senatore Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa? E’ vero, ne indaga un volto deteriore ma storicamente certo, perché la mafia non si sarebbe consolidata senza infiltrazioni e alleanze con altri poteri (ciò che non comporta in automatico la colpevolezza di Dell’Utri). Ma non farebbe certo il bene dell’Italia abolire il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Non fa bene all’Italia bloccare lo svolgimento dei processi, né sommergerli di parole volgari.

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