Fine della Seconda Repubblica

mercoledì, 16 dicembre 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Anche sul palco di piazza Duomo, nel gelo della Milano prenatalizia, Berlusconi aveva indugiato sul suo viso, sul suo corpo divenuto icona pop: “E pensate che non porto neanche la canottiera…”. Figura irraggiungibile ma al tempo stesso amante del bagno di folla, il Capo in grado di mandare in delirio una piazza osannante si è ritrovato uomo ferito, colpito in faccia con vigliaccheria.
Di fronte a un’aggressione violenta valgono solo la condanna del gesto infame e la solidarietà piena a chi ne è vittima. Senza calcoli d’opportunità. Lui che ha sempre ironizzato su fascino e superiore prestanza fisica -vi alludeva con Formigoni prima che un souvenir metallico trasformasse il suo volto curatissimo in una maschera di sangue- merita pieno rispetto quando subisce uno sfregio criminale. Il raptus di un folle, non un attentato terroristico. Ma ciò non modifica di una virgola la vicinanza dovuta a una persona ferita. La dinamica rudimentale dell’agguato ricorda piuttosto il mitomane in cerca di ruolo minacciando una popstar americana che non la premeditazione fanatica del killer appostato dietro al palco del premier israeliano Yitzhak Rabin, alla fine di un comizio, con la pistola in mano. Ma sarebbe da irresponsabili non tenere nel dovuto conto il clima esasperato di cui l’aggressione domenicale a Berlusconi ha rappresentato il culmine.
Un’escalation verbale in cui già avevano fatto la loro comparsa le parole “guerra civile”, riferite allo scontro fra il potere esecutivo e i giudici. Un’esaltazione della volontà popolare incarnatasi per l’appunto in lui, il presidente “con le palle”. Le accuse di golpismo, di disegno eversivo, di sovranità dirottata dal governo ai “giudici di sinistra”.
L’aggressore, Massimo Tartaglia, si rivela essere per fortuna una figura quasi patetica nel suo isolamento. Ma ha agito in una piazza Duomo sovreccitata dal conflitto politico in atto. E il giorno prima a Milano erano volati fischi e spintoni già nella vicina piazza Fontana, durante la commemorazione della strage di quarant’anni fa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, episodio cruciale di una guerra civile strisciante prolungata nel tempo, in cui furono coinvolti settori deviati delle istituzioni.
L’estrema personalizzazione della leadership, sul finire della Seconda Repubblica, rende altrettanto drammatica la situazione odierna, pur nella sua diversità. Perché l’Italia è divisa -pro o contro Berlusconi- con un surplus patologico di contrapposizione. Il Pdl indica nell’uomo ferito in piazza Duomo la figura superiore dell’eletto dal popolo, sposando l’idea di una “Costituzione materiale” che avrebbe già modificato nei fatti le caratteristiche parlamentari della nostra Repubblica. Tale visione suscita allarme in chi teme l’eccesso di potere berlusconiano e quindi guarda al Quirinale, al Parlamento e alla Corte Costituzionale come contrappesi preziosi. La Costituzione non si può modificare a strappi, né tanto meno a furor di popolo.
Sarà bene che la doverosa solidarietà al Berlusconi aggredito si trasformi in sincera preoccupazione bipartisan, perché gli episodi di violenza politica rischiano di moltiplicarsi nel prossimo futuro. L’Italia è di nuovo sull’orlo di uno scontro incivile.

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