In Italia cresce solo la disuguaglianza

domenica, 3 gennaio 2010

Leggo sul “Corriere della Sera” le statistiche che collocano l’Italia ai vertici di una classifica europea poco lusinghiera. Se infatti greci e portoghesi soffrono distanze di reddito più acute delle nostre fra i ceti sociali più ricchi e più poveri, è fra i giovani che deteniamo il record negativo assoluto: l’Italia risulta essere la nazione a più scarsa mobilità sociale. Dove chi è privo del sostegno di genitori abbienti ha possibilità minime di iscriversi all’università. In nessun altro paese dell’Ue viene così scarsamente valutato il merito. Le conseguenze non sono soltanto di carattere discriminatorio ma anche dissipatorio: a quanti talenti, a quante potenzialità economiche rinunciamo?
Non c’è da stupirsi quindi se negli ultimi dieci anni il reddite pro capite è sceso costantemente rispetto alla media europea, mentre il potere d’acquisto degli italiani si indeboliva di oltre cinque punti.
E’ in particolare sull’accentuarsi della disuguaglianza che vi invito a riflettere. Il venti per cento degli italiani più ricchi dispone di un reddito che è 5,5 volte più elevato di quello del venti per cento di italiani più poveri. I liberisti hanno sostenuto a lungo la tesi secondo cui tale accentuazione delle diversità di reddito fosse da accettare in quanto la crescita della ricchezza “ai vertici” della piramide sociale, in seguito, avrebbe garantito benefici a pioggia tra i meno fortunati che stanno sotto. I fatti hanno smentito questa teoria. L’Italia è oggi un paese più squilibrato e ingiusto rispetto ai famigerati anni Settanta-Ottanta, senza essere diventato neanche un paese più ricco.

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