L’imbroglio della televisione elettorale

mercoledì, 17 febbraio 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
L’ottusa, burocratica applicazione della “par condicio” con cui la Rai sabato 13 febbraio scorso ha deciso di non trasmettere la puntata della rubrica religiosa “A sua immagine”, perché vi compariva la testimonianza filiale di Giovanni Bachelet (deputato del Pd) a trent’anni dall’omicidio perpetrato dalle Brigate rosse di suo padre Vittorio, insigne giurista cattolico, mi ha letteralmente sgomentato. Mi chiedo chi sia il funzionario che ha disposto una simile bassezza, mascherandola per adempimento normativo. Sono forse condizionato dall’emozione che quel brutale assassinio sulle scale dell’Università di Roma suscita ancora in me? O dal ricordo del messaggio così nobile di pietà cristiana letto da Giovanni al funerale? O dalla mitezza della protesta del medesimo Giovanni, divenuto in effetti nel frattempo parlamentare, ma felicemente incapace anche solo di concepire una strumentalizzazione politica del suo lutto?
Per intervento di Napolitano e per tardiva resipiscenza, la Rai ha in seguito deciso di trasmettere il sabato successivo ciò che aveva censurato. Ma c’è già chi strumentalizza l’episodio con l’intenzione di considerare decaduta la legge sulla “par condicio”, certo brutale e imbarazzante, ma senza la quale in Italia si potrebbe assistere a un bombardamento propagandistico per via televisiva da parte del proprietario-controllore stesso delle televisioni. Se la “par condicio” e il divieto di spot non regolassero la comunicazione politica in Italia, il presidente-tycoon trasmetterebbe raffiche di spot pubblicitari col triplice vantaggio che lui ha risorse per pagarne di più, finanzierebbe se stesso, e costringerebbe gli avversari politici a versargli un obolo pena la rinuncia a competere. Garantendosi inoltre spazi dilatati nei talk-show, grazie al metodo proporzionale da lui preferito: chi ha preso più voti, parla di più in televisione.
Fallita per divisioni interne al centrodestra la tanto desiderata abolizione della “par condicio”, e grazie all’appoggio decisivo dei radicali, la combriccola di fedelissimi che Berlusconi ha strategicamente piazzato nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai ha ribaltato di colpo il suo classico schema di gioco. Negate spazi maggiorati ai partiti maggiori? E allora togliamo ai conduttori delle trasmissioni giornalistiche in onda sulla Rai la facoltà di scegliere loro gli ospiti da invitare in tv. Poco importa che i conduttori (anche nelle tv private) siano già vincolati dalla “par condicio” a garantire un accesso equilibrato fra i partiti concorrenti. Parlino d’altro, se vogliono andare in onda nel periodo elettorale. Oppure si comportino come vere e proprie Tribune d’accesso in cui sono i partiti a scegliere chi mandare, e i giornalisti hanno tempi contingentati in cui garantire loro un monologo senza contraddittorio.
Detto in soldoni, il centrodestra confida di andare al voto con 45 giorni di assenza delle trasmissioni di sinistra che fanno grandi ascolti in prima serata, e pazienza se ciò comporta il sacrificio di Bruno Vespa. Lasciando invece campo libero ai telegiornali già addomesticati. Tale regolamento attuativo della “par condicio” è zeppo di incongruenze: e se Santoro decidesse di andare in onda ugualmente raccontando mafie e scandali italiani, sia pure senza ospiti politici in studio? E se l’Authority delle comunicazioni non seguisse il diktat parlamentare sulla Rai, lasciando libere le emittenti private di trasmettere i programmi imbavagliati sulla tv pubblica?
Anche in tale felice (ma improbabile) circostanza, vi prometto che “L’Infedele” televisivo non ne approfitterebbe per ammannirvi i soliti noti prezzemoli (non faccio nomi, mi avete capito) che impazzano a ogni ora del giorno in veste di tuttologi su ogni tasto del telecomando.

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