Che il cardinale Camillo Ruini sia stato prescelto da Benedetto XVI per condurre la prolusione quaresimale del Venerdì Santo, durante la Via Crucis a Roma, è il segnale di un ritorno a un ruolo da protagonista dell’ex presidente del vescovi italiani. Dispiacerà al segretario di Stato, Tarcisio Bertone, alle prese con lo scandalo mondiale dei pedofili, che dopo il linciaggio mediatico di Dino Boffo (guarda caso tornato com’era giusto a partecipare a iniziative pubbliche romane) sperava di avere tolto ogni spazio al teorico di un ruolo politico della Chiesa. Ma don Camillo viene già rimpianto, visto il grado di litigiosità, confusione e mancanza di stile che lacerano la Curia romana. Ruini rappresenta di fatto una visione alternativa allo stesso episcopato di papa Ratzinger. Che si rivela ogni giorno di più debole e contraddittorio. Li accomuna la stima, il rigore intellettuale, il timore che l’innovazione provochi sfaceli nell’istituzione ecclesiastica. Ma dopo cinque anni il bilancio di Benedetto XVI e della sua gerarchia si rivela davvero troppo magro per chi crede ancora nella funzione del primato papale.