La destra come idea di società

mercoledì, 31 marzo 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Le proiezioni di metà pomeriggio indicano una vittoria della destra, e in particolare della Lega, nelle elezioni regionali caratterizzate da una crescita massiccia dell’astensionismo.
Se sarà confermata, in particolare, la vittoria di Roberto Cota in Piemonte comporterà una svolta di fondo: dimostrerebbe che gli elettori moderati, con l’appoggio della Chiesa, non esitano a scegliere un presidente dal profilo leghista intransigente, trovandosi con lui in sostanziale coincidenza sui valori. Dunque il travaso di voti dal Pdl alla Lega, già avvenuto in Veneto e rivelatosi come verosimile nel futuro della Lombardia, modifica il profilo della stessa leadership berlusconiana. Quel Bossi che lo affianca protettivo e rapace al tempo stesso, sta lavorando con successo affinché il blocco moderato del Nord finisca incluso nel movimento leghista quando tramonterà l’astro della leadership di Berlusconi.
Si parla molto del radicamento territoriale della Lega, a mio parere esagerando. Bossi ha certamente costruito un’organizzazione efficiente, fondata sul principio d’autorità. Ma ha soprattutto miscelato un cemento ideologico, dalla religiosità tradizionalista alla nostalgia di una comunità omogenea, contro l’immigrazione in nome dei residenti più poveri e indifesi. Il leader della Lega non ha fretta. Gli conviene che Berlusconi resti in sella fino al termine della legislatura (anche se dubito voglia concedergli i pieni poteri del presidenzialismo) ma si compiace delle contraddizioni che la sua vittoria determina all’interno del Popolo della libertà. Tensioni territoriali (in Sicilia forse nascerà davvero da una sua costola il “partito del Sud”) che si sommano alla dialettica in corso da tempo con Gianfranco Fini.
In sintesi: l’Italia disincantata e perfino nauseata dagli scandali e da un’illegalità esibita perfino nello stile di vita, si conferma però una nazione a prevalenza conservatrice. Il centrosinistra non esprime un’alternativa riconoscibile, anzi, deve fare i conti con la crisi del modello emiliano, ormai anacronistico. Fa i conti con leadership eccentriche rispetto al progetto del Partito Democratico, come quelle di Nichi Vendola e Emma Bonino, ma l’egemonia “antipolitica” di Antonio Di Pietro lo congela all’opposizione.
Suppongo che se le proiezioni troveranno conferma, Berlusconi ne trarrà motivi di sollievo se non di esultanza. E’ confermato che in Italia non matura alcuna ipotesi alternativa al suo governo, né le manovre centriste fantasticate da Casini e Rutelli riscuotono più chances di successo. Ma questo gli faciliterà davvero l’esercizio del governo? Una vittoria ottenuta delegando spazi di potere notevole alla Lega e esasperando le divergenze di prospettiva con il partner Gianfranco Fini (che ora schiererà la sua Generazione Italia per contestare la conduzione di vertice del Pdl) promette davvero stabilità politica? Ne dubito. Prima di lasciargli fare le riforme che ha promesso (giustizia, intercettazioni telefoniche, par condicio, presidenzialismo) i suoi partners-rivali ci penseranno due volte.
Ma queste sono considerazioni strettamente politiche, oltre che frettolose. Bisognerà ragionare più nel profondo di questa società italiana così orientata al moderatismo, scettica ma in cerca d’autorità. Credo che in Piemonte e in Lazio la Chiesa sia stata decisiva nell’orientare l’elettorato contro le candidature di sinistra additate come troppo audaci. Al di là dei giudizi personali, trova rassicurante mantenere un patto di potere con Berlusconi.

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