Leggo che al processo milanese sui dossier illeciti della security Telecom, ai tempi in cui lui ne era il presidente e l’azionista principale, Marco Tronchetti Provera si è rammaricato. Perchè Vittorio Colao, amministratore delegato della Rcs, vittima nel novembre 2004 di hackeraggio informatico unitamente al giornalista Massimo Mucchetti, non pensò di avvisarlo subito che i sospetti ricadevano sulla struttura di Giuliano Tavaroli? Quella mancata comunicazione viene deprecata da Tronchetti Provera come “una scorrettezza” e “un errore”. Davvero singolare questa recriminazione: una persona illegalmente spiata da strutture aziendali facenti capo a Tronchetti Provera, in base a quale logica avrebbe dovuto metterlo sull’avviso, nel mentre si rivolgeva correttamente alla polizia? Il salotto buono di via Solferino, in questa accezione, dovrebbe essere una camera di compensazione dentro la quale ci si spalleggia sempre e comunque, in base al principio che i panni sporchi si lavano in famiglia?
L’altra sera in tv Diego Della Valle non mi ha risposto quando gli chiedevo perchè valga la pena di fare anni di anticamera pur di entrare in quel patto di sindacato. Vige anche il patto di considerarsi sempre e comunque immacolati, tra soci, azionisti e manager? Il rammarico di Tronchetti Provera è che a Colao, subita l’aggressione degli uomini di Tavaroli (seguita da ambigue profferte di “protezione” per il futuro) sia venuto il dubbio che nel malaffare c’entrasse il vertice Telecom. A voi non sarebbe venuto?