Nel paese che offende le donne

mercoledì, 19 maggio 2010

Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Nei giorni scorsi è stato promosso il lancio di un nuovo canale televisivo Mediaset attraverso un annuncio sensazionale: su La5 finalmente le Veline, ultraventennale muto ornamento dell’umorismo nazionalpopolare, saranno parlanti. Nientepopodimeno! Siamo o non siamo il paese delle “ragazze immagine”, mute per definizione? E’ naturale che la rottura del codice –sia pure nella nicchia del digitale- faccia scalpore.
Dubito che l’apprendere di un tale progresso della cultura italica sarebbe bastato a distogliere la filosofa Michela Marzano dall’intenzione di denunciare, con un pamphlet costellato di punti esclamativi, l’anacronismo che contraddistingue la condizione femminile nel suo paese d’origine, noto ormai come l’ultima roccaforte occidentale della misoginia.
“Sii bella e stai zitta” (Mondadori) è solo l’ultimo di una serie di bei libri pubblicati di recente da donne esterrefatte (Lorella Zanardo, Conchita Sannino, Caterina Soffici, Anais Ginori, Sandra Puccini). Per sua natura, rappresenta anche uno sforzo d’interpretazione teorica di questo evidente ritardo storico, evidenziato da un’utile comparazione cronologica con i nostri partner europei sulla via della parità e da richiami bibliografici all’evoluzione del pensiero filosofico sulla donna, sull’amore, sulla pornografia, sulla relazione fra libertà e uguaglianza.
Anche le ingiustizie sociali –le donne italiane guadagnano il 25% in meno degli uomini, le dirigenti sono solo il 13%- trovano spiegazione grazie alla decodifica di una cultura egemone accettata come naturale “servitù necessaria”. Solo l’assuefazione al sopruso e la complicità subalterna alla rappresentazione pubblica della donna come mero oggetto di consumo spiegano, infatti, quel che all’estero resta un mistero: perché latita in Italia un movimento di rivolta contro una classe dirigente che si vanta di trattare così l’altra metà del paese? Perfino quando il Partito democratico ha codificato la parità di genere nei suoi organismi di direzione, è stato tollerato l’éscamotage di gonfiarli fino a dimensioni abnormi pur di non sacrificare alcuna presenza maschile.
Marzano adopera più volte la parola “regressione”. Crede per davvero che le donne italiane abbiano fatto dei passi indietro dal 1988, l’anno in cui è andata a vivere in Francia? Mettendosi direttamente in gioco –molto intense le pagine dedicate alla sua mancata maternità vista come un’incompletezza che però l’accomuna pure alle donne madri- applica la regola femminista del “partire da sé” e dalla sua famiglia. Forse idealizza gli anni Settanta in cui sua mamma riusciva a essere insieme insegnante emancipata e angelo del focolare, trasmettendo ai figli un progetto di uguaglianza a prescindere dalla diversità sessuale. Si trattava anche allora di una crescita della consapevolezza circoscritta nell’ambito di una minoranza. Di lì a poco la tv commerciale, seguita a ruota dalla Rai, avrebbe moltiplicato su larga scala la cultura popolare retrograda dell’Italietta clericale e puttaniera. E questo avveniva proprio negli stessi anni in cui le altre nazioni industrializzate accompagnavano alla scoperta della libertà sessuale quel codice di rispetto della femminilità tuttora sconosciuto al nostro establishment.
E’ analizzando questo substrato inconscio della nazione che “Sii bella e stai zitta” ci offre squarci preziosi. Marzano è assai profonda nell’analizzare come oggi venga vissuto in Italia il passaggio cruciale dell’adolescenza: “A differenza di altri paesi europei, la virilità prepotente continua a essere una specie di imperativo categorico per i nostri ragazzi”. Alle giovani donne spetta naturalmente un’iniziazione speculare: “La tendenza generale, per una giovane, è interiorizzare la sofferenza, trasformando il suo corpo in cassa di risonanza delle difficoltà relazionali”.
Se Tullio De Mauro ci ha raccontato la piaga contemporanea dell’analfabetismo di ritorno, Michela Marzano ci spiega come l’analfabetismo sia in crescita anche nel campo emozionale. In materia d’amore è difficile capire come la dipendenza reciproca non debba soverchiare l’autonomia. Altrettanto difficile è contrastare la sottocultura della violenza sulle donne in un paese il cui primo ministro dichiara scherzosamente che ci vorrebbero troppi soldati antistupro a proteggere le troppe belle donne. Legittimando un parallelo tra bellezza femminile e violenza maschile.
Così in Italia anche la diffusione del consumo pornografico, non certo una nostra esclusiva, grazie alla cassa di risonanza dell’ossessivo porno-soft televisivo –questo, sì, un record mondiale- domina la scena pubblica. Diviene carattere distintivo della classe dirigente maschile. Ma pervade la società con effetti ancora troppo poco esplorati. Perché l’eros fasullo del corpo plastificato, la donna italiana ridotta a bambola virtuale, genera la frustrazione del desiderio. Disgiunge il corpo dall’anima. Capisco bene che un’intellettuale cosmopolita come Michela Marzano, “tornando” nel suo paese, avverta il bisogno di protestare. Perché il suo non è un salto indietro nel tempo, ma la scoperta di una post-modernità imbarbarita.

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