L’establishment dei sempreverdi

mercoledì, 2 giugno 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Quando ormai pareva dovesse calare il sipario sul dossieraggio illegale praticato ai danni di migliaia di cittadini dalla security di Telecom e Pirelli durante la presidenza di Marco Tronchetti Provera, a scongiurare l’insabbiamento di quel brutto scandalo è intervenuta Mariolina Panasiti, giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano.
Ricordate Giuliano Tavaroli e la sua compagnia di spioni che trafficavano in tabulati telefonici, corrompevano uomini delle forze dell’ordine, saccheggiavano banche dati istituzionali, frugavano nei pc, pedinavano, schedavano? Ebbene, il gup milanese ha escluso che agissero per conto proprio, come una scheggia impazzita, all’insaputa dei vertici aziendali. E di conseguenza ha sollecitato la Procura a ulteriori indagini, non accontentandosi della testimonianza con cui Tronchetti Provera s’era dichiarato ignaro, raggirato e vittima dei suoi stessi collaboratori. Se Tavaroli e soci vengono prosciolti dal reato di appropriazione indebita, è perché obbedivano a disposizioni dall’alto. I destinatari delle informazioni abusivamente reperite su tanti manager, politici, giornalisti –chiunque fossero- potevano acquisire un notevole potere di ricatto o d’intimidazione, tramite dossier per cui vennero sperperati decine di milioni di euro.
Nei cinque anni successivi all’esplosione dello scandalo si è di molto ridimensionato il peso di Tronchetti nella comunità finanziaria. Ma resta un caso di scuola del capitalismo relazionale all’italiana l’anelito consociativo in cui si riconobbero i big del nostro establishment: per il bene del “sistema”, quell’imprenditore milanese posizionato nei suoi gangli vitali “doveva” essere salvato, a costo di perderci tanti soldi. Infatti Tronchetti Provera ottenne una vantaggiosa uscita da Telecom e, sia pure con mansioni più d’immagine che di sostanza, continuò a fiancheggiare i veri potenti dentro Mediobanca e il “Corriere della Sera”; partecipò da comprimario alla cordata Alitalia, manifestò spiccate propensioni filogovernative, né di certo attenuò un certo gusto per la mondanità.
Cinque anni, in un paese con la giustizia al rallentatore, sono un buon periodo per verificare quanto funzionino i parametri oggettivi dell’onorabilità e della reputazione: ufficialmente tutto l’establishment ha creduto ai lamenti di Tronchetti, quando si dichiarava turlupinato da Tavaroli, senza nemmeno attribuirgli l’onta della dabbenaggine.
E’ interessante a questo punto notare come la salvaguardia della credibilità di Tronchetti Provera sia riuscita all’ombra, e sotto la protezione, di una figura decisamente di maggior spicco, ma accomunata al marito di Afef dalla distruzione di valore che entrambi hanno inflitto ai risparmiatori: sto parlando di Cesare Geronzi, da poco asceso alla presidenza delle assicurazioni Generali. E sapete quali sono i primi incarichi rivendicati dal diplomatico Geronzi, una volta giunto al vertice del Leone di Trieste? Ma naturalmente il posto in cda alla Rcs (cioè al “Corriere della Sera”), in Mediobanca e, guarda caso, nella tronchettiana Pirelli. Come mai va a perdere tempo in quelle tre società milanesi il presidente di un grande gruppo assicurativo europeo, con tutto quel che avrebbe da fare?
Beh, rispondetevi da soli. Ma non stupitevi se l’economia italiana soffre d’invecchiamento e di scarsa competitività, mentre i giornali di proprietà di lorsignori rivelano indulgenza nei confronti della loro reputazione mascherata da un garantismo che certo non viene riservato ai poveracci.
Geronzi & Tronchetti Provera sono la coppia-simbolo inscalfibile del capitalismo nostrano, rispettabile a prescindere.

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