Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Non tragga in inganno la modestia del fatterello verificatosi sabato 12 giugno nella provincia di Treviso, la più leghista del Veneto, e per ragioni anagrafiche la più cara al suo presidente Luca Zaia. Quest’ultimo condivide con i politici di ogni credo e latitudine l’insana passione per le inaugurazioni, con taglio di nastri, e bande, e cori in misura sufficiente a titillarne l’ego sì come il vento riempie i gonfaloni.
Il clima di quel sabato, diciamolo, oltre che afoso era decisamente pre-mundial: per quanto scettici su Cannavaro & soci, non siamo forse lesti nel commuoverci di fronte alla tivù durante la carrellata dei baldi e virili primi piani, allorché il frastuono delle micidiali trombette da stadio sudafricane cede finalmente il posto alle note marziali di “Fratelli d’Italia”?
Tanto più mi sono piaciuti, i nostri calciatori, per il gesto con cui hanno deciso di rispondere al ministro Calderoli, quello specializzato nel denunciare i privilegi di chi gli sta antipatico, sottacendo i privilegi di chi lo ha messo lì a sgovernarci. Devolveranno, gli azzurri, una quota dei loro premi Uefa come contributo al Comitato per i 150 anni dell’Unità d’Italia che versa notoriamente in cattive acque. E siccome siamo allo stadio, lasciatemi plaudire a tale splendida idea: Calderoni tié, ciapa su e porta a casa.
Tanto più apprezzabile figura l’iniziativa nazionalista della Nazionale, dopo l’ennesimo sdrucciolamento di senso comune delle istituzioni manifestato a Fanzolo di Vedelago, durante l’inaugurazione di una scuola elementare. Mi vedo la scena, tanto più che conosco fin dai tempi lontani del liceo Berchet l’attivissimo portavoce di Zaia che se ne è sobbarcato la responsabilità. Giampiero Beltotto, questo il suo nome, entrò da giovane alla Rai in quota democristiana. Ma prima ancora, per l’appunto al nostro comune liceo milanese Berchet, da leader di Comunione e Liberazione incassava le ripetute sconfitte in assemblea che gli infliggevamo con una bonomia che me lo rendeva simpatico. Non deve essere stato difficile per Beltotto riciclarsi leghista. Immagino il suo arrivo a Fanzolo di Vedelago, qualche minuto prima del “suo” presidente Zaia che da anni promuove entusiasticamente su tutte le reti televisive. “Volete fare una bella sorpresa al governatore?”, avrà sorriso col sindaco leghista e le intimidite autorità locali. “Accoglietelo col coro del ‘Va pensiero’ anziché con l’inno nazionale, tanto siamo in famiglia, vero?”.
Peccato se ne sia adirata la direttrice scolastica regionale, Carmela Palumbo, con quel nome che sa tanto d’origine meridionale. Chissà che ora Zaia decida per reazione di imitare il suo collega piemontese Roberto Cota che ha deliberato il vincolo della residenza regionale per l’assunzione dei supplenti.
Una piccineria, una tempesta in un bicchier d’acqua, con tutto quello che sta succedendo in Italia. Figuriamoci. Tanto più che Zaia si è affrettato a precisare che se colpa c’è stata se la deve assumere il portavoce Beltotto, perché lui rispetta il tricolore e non dimentica di aver giurato sulla Costituzione. Chi conosce bene la Lega e la sua cura dei rituali, però, ne trae un’ulteriore riprova della propensione di questo partito alla doppia verità: ci sono obbiettivi e comportamenti che si rivendicano solo all’interno del movimento, decidendo di volta in volta secondo convenienza quale volto ufficiale presentare all’esterno. Un’ambiguità, tipica delle formazioni che intendono mantenere aperta l’opzione anti-sistema pure quando assumono la guida delle istituzioni del sistema medesimo, simboleggiata dall’articolo 1 dello statuto, in cui la Lega mantiene tuttora la finalità “per l’indipendenza della Padania”.