La difficile alleanza con Ankara

venerdì, 9 luglio 2010

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
Sono ormai quasi dieci anni che sopportate questa rubrica in fondo a “Nigrizia”, e da buon euromediterraneo che fare troppe distinzioni fra i popoli delle opposte sponde del “mare nostro”, più volte mi sono occupato della Turchia auspicandone l’integrazione nell’Ue. Altrimenti che senso avrebbe il processo storico di pacificazione continentale meglio noto come allargamento?
Chi la pensava come me ha mal sopportato le resistenze del governo tedesco e dello stesso Romano Prodi (quando era presidente della Commissione europea) a una rapida chiusura della trattativa con Ankara; su questo punto mi sono trovato più vicino alla posizione statunitense, fatta propria dal governo Berlusconi e –quel che più conta, con una revisione di linea seguita al viaggio di Benedetto XVI a Istanbul e alla sua preghiera nella Moschea Blu- dal Vaticano. Naturalmente vedevamo anche noi la minacciosità del nazionalismo turco, negazionista delle colpe storiche commesse ai danni degli armeni, e la ripristinata egemonia islamista, aggressiva nei confronti della presenza cristiana e delle normative laiche. Ma lungi dal trarne giudizi d’inconciliabilità assoluta, quelle tensioni ci inducevano a fare in fretta nel costruire legami vincolanti, prima che spinte esterne provocassero nuove rotture.
Oggi la situazione è peggiorata drammaticamente, come testimonia anche il barbaro assassinio di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ormai trova assai più redditizio esibire il volto dell’islamismo, con cui aspira a riassumere una leadership regionale superando le contrapposizioni etniche con arabi e persiani, visti gli scarsi risultati ottenuti nel dialogo con l’Occidente. Il culmine di questa crisi lo viviamo con l’infrangersi di un’alleanza decisiva per la pace in Medio Oriente: l’alleanza fra Turchia e Israele. Qui il contributo d’ottusità del governo Netanyahu, e l’attacco dissennato della marina israeliana alla “Freedom Flottilla” sostenuta da Ankara proprio al fine di provocarla, sono stati purtroppo decisivi. Ero in Israele nei giorni della vergogna, seguiti al cruento abbordaggio della “Mavi Marmara”. Ho parlato con quadri bene inseriti nell’establishment militare che, riservatamente, ammettevano il disastro diplomatico compiuto nelle relazioni con il secondo esercito della Nato, forse l’alleato più prezioso che gli Usa devono mantenersi nella regione. Quel che mi ha spaventato, però, è la perentorietà di giudizio con cui perfino gli esperti liquidavano Erdogan: descritto alla stregua di un Ahmadinejad, cioè come un leader strategicamente nemico.
Credo si tratti di un’assurdità. Considerare la Turchia di Erdogan perduta all’alleanza occidentale e all’integrazione europea, significa porsi sul piano inclinato di una guerra totale. Oggi è più difficile, ma dobbiamo provarci ancora.

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