Galan brontola, ma i leghisti muggiscono

sabato, 17 luglio 2010

Giancarlo Galan (qui ritratto con la moglie il giorno delle nozze) ha l’aria di essere un buontempone sempre pronto a spassarsela, il che lo rende simpatico. Ma io ho smesso di prenderlo sul serio dal giorno in cui scrisse addirittura in un libro-intervista che lui non avrebbe mai fatto il ministro, perchè non sopportava l’idea di vivere a Roma e non concepiva la politica altrove che in Veneto.
Naturalmente non lo pensava. Gli serviva solo bluffare in funzione anti-Lega quando sperava ancora di evitare il passaggio di testimone con Luca Zaia alla presidenza della Regione.
Allo stesso modo, dopo aver tuonato contro l’emendamento alla manovra con cui i leghisti hanno ottenuto la proroga al pagamento delle multe per infrazione europea degli allevatori furbi -alla faccia di quelli onesti, e a carico di tutti i contribuenti- Galan aveva minacciato di dimettersi da ministro dell’Agricoltura. I giornali di oggi lo ritraggono che brinda in compagnia di Calderoli & co. Ma non è della sua credibilità che mette conto parlare. La vicenda delle quote latte è istruttiva perchè evidenzia in modo lampante qual è la dinamica quotidiana nei rapporti fra Pdl e Lega. Il Popolo della libertà è un partito sfrangiato, ridotto all’impotenza. Come Galan, anche Andrea Ronchi aveva dichiarato che l’Italia non può permettersi di disobbedire alle direttive europee, se non altro per i danni che gliene conseguono. Gli fanno pat pat sulla spalla, dicendo che hanno ragione, senz’altro, ma poi Tremonti in Parlamento manda avanti il relatore della manovra a presentare l’emendamento leghista, senza neanche avvertire i ministri Pdl interessati.
L’episodio è minore, ma anticipa il futuro del centro-destra. Multato, forse squalificato, ma di certo molto più leghista che berlusconiano.

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