Elezioni anticipate? Il bluff del Cavaliere

mercoledì, 4 agosto 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity fair”.
Berlusconi perde i pezzi e sa benissimo di dover gestire una ritirata. Agli italiani tornerà a chiedere una cosa sola: datemi ancora più potere, se credete in me come unico leader fungibile sulla piazza. In ogni caso venderà cara la pelle, perché tragica gli appare l’idea stessa di separarsi dal potere che sfugge. Paventa scenari foschi, una questione di vita o di morte. Chiama i devoti a trepidare per lui, e ricorda ai cittadini disincantati che nessun altro leader al posto suo manifesterebbe altrettanta identificazione nelle loro debolezze.
Non sono affatto sicuro che Berlusconi aspiri alle elezioni anticipate come vanno minacciando i suoi spaventati portavoce. L’uomo è fantasioso ma non temerario. Conosce meglio di noi il caos in cui versa il Pdl, che oggi sarebbe in grado di fare propaganda solo contro se stesso. Confidare esclusivamente sulla sua energia personale? Le troppe battute d’arresto del recente passato gli ricordano che non basta più, a 74 anni.
Oltretutto non è facile giustificare all’elettorato di destra perché figure screditate come Nicola Cosentino, Claudio Scajola e Denis Verdini possano militare al vertice del Popolo della libertà, mentre il suo cofondatore Gianfranco Fini ne è indegno. Con molto humour Valentino Parlato sul “Manifesto” ha ricordato che il vecchio Partito comunista usava procedure molto più democratiche per liberarsi dei suoi dissidenti, rispetto alle due ore di processo allestito dal Cavaliere per buttare fuori i finiani.
Perché correre rischi, quando sei già seduto a Palazzo Chigi? A cambiare sarà la gestione del governo come contropotere scatenato in difesa, in esplicito antagonismo con la magistratura, il Quirinale, la presidenza della Camera. Berlusconi tenterà di realizzare tramite fatti compiuti la sua riforma materiale della Costituzione: tutto il potere al premier che ha vinto le elezioni. E impunità per i suoi seguaci.
Cercherà di farcela senza aprire una crisi di governo dagli esiti sdrucciolevoli. Anche se non credo abbia probabilità di riuscita il tentativo del Pd, tornato saldamente sotto la regia dalemiana, di separare la Lega dal Pdl. Come? Offrendole la garanzia del federalismo fiscale insieme alla possibilità di andare da sola al voto guadagnandoci, col sistema elettorale proporzionale. Trucchetti di corto respiro, già respinti al mittente. Piuttosto Bossi ha convenienza a spremere fino all’ultimo il limone Berlusconi, da cui confida di ereditare per intero l’elettorato conservatore del Nord.
Potrà essere la Lega a dare il calcio dell’asino a Berlusconi solo nel caso deflagrino nuovi scandali interni al Pdl di portata tale da renderle troppo nociva l’alleanza. Ma anche in tal caso non le converrà aderire a governi di unità nazionale, con o senza Tremonti alla guida.
Quel che davvero finisce, con il Berlusconi furioso incapace di sopportare il dissenso di Fini, è l’illusione che dal suo vitalismo spregiudicato potesse scaturire come un partito di destra liberale e democratico. Il Pdl si è rivelato esperimento più breve del Partito democratico. Le esigenze difensive di Berlusconi lo sospingeranno a recitare sempre meno volentieri la pantomima del leader di partito. Lui preferisce i videomessaggi registrati e calati dall’alto simili ai discorsi di un Gheddafi, di un Mubarak o di un qualunque altro presidente-dittatore anziano e solitario, ibernato nel palazzo fra mille dicerie piccanti sui suoi costumi.
Farà di tutto, ma proprio di tutto, per non cedere il potere. Lo si intuisce già dagli attacchi personali a Fini e a ciascuno dei dissidenti che lo hanno seguito. Ma i suoi nemici ormai annusano l’odore del sangue.

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