In memoria di Francesco Cossiga

martedì, 17 agosto 2010

Una sottile vena di goliardia ha pulsato per decenni nell’anima del
notabile democristiano Francesco Cossiga, di precoce e solida
carriera, fino a esplodere trasformando la sua vecchiaia in una
giovinezza sfrontata, che non si era permesso di vivere e percio’
rimpiangeva. Viveva drammaticamente e allegramente -non c’e’ contraddizione fra questi due stadi emotivi- la vicenda storica di cui si
ritrovo’ protagonista, a partire dalla guida del ministero
dell’Interno nei giorni in cui le Brigate Rosse sequestrarono e
poi assassinarono il suo maestro Aldo Moro. Lui si compiacque di
vedere il suo nome deformato nelle scritte murali con la sigla delle
SS, a conferma di un’intransigenza repressiva non priva di eccessi
e spregiudicatezza; ma nello stesso tempo cerco’ una relazione
curiosa con gli avversari di allora, talvolta ammirandone la coerenza
e infine riconoscendo di avere sbagliato quando rifiuto’ la
trattativa con i terroristi. Si e’ diffusa la voce che Cossiga avrebbe patito il senso di colpa per la morte di Moro fino a perdere la lucidita’ mentale. Vera la sofferenza, ma falso l’esito. Rimase astuto e, nell’ultimo tratto del suo settennato al Quirinale, libero’ irresponsabilmente la sua goliardia, convinto che cio’ giovasse a sbloccare le riforme istituzionali in cui credeva. Da allora e’ stato una specie di oracolo, simpaticissimo e greve, che le sparava grosse. Senza seguito politico rilevante, ma popolare anche nella sua verbosa rissosita’ espletata sempre con rara eleganza sintattica. Non mi sorprenderebbe che Cossiga abbia disseminato tra le sue carte
testamentarie qualche petardo a scoppio ritardato, per ridersela
dall’aldila’. Tra i molti ricordi personali, contraddistinti da affetto e ilarita’, citero’ solo la volta che ci abbracciammo a Gerusalemme, di fronte al Muro del Pianto. Poco dopo lo rividi mentre attendevo il mio turno per entrare insieme ai figli nel Santo Sepolcro. Lui si alzo’ dalla sedia a rotelle e, passandomi davanti mi diede di gomito: “Ehila’ gadlerner! Prima diventi presidente della Repubblica e poi salti anche tu la fila…”.

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