Ibra e Di Natale, chi vorremmo al nostro fianco?

mercoledì, 1 settembre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Le generazioni avvezze alla play station e al fantacalcio, dove i campioni sono ridotti a funzioni elettroniche intercambiabili da vendere e comprare, sono ormai così abituate a prescindere dai sentimenti del tifoso che giudicheranno eccentrica la vicenda di Antonio Di Natale. Per chi non lo sapesse, il capocannoniere dell’ultimo campionato di calcio italiano di serie A ha educatamente rifiutato il passaggio alla Juventus cui veniva sollecitato anche dal suo presidente. Ha spiegato Di Natale, udite udite, che lui desidera chiudere la carriera con la maglia dell’Udinese, squadra cui è molto affezionato sebbene non possa aspirare allo scudetto. La sua famiglia è felice di vivere nel capoluogo friulano, dove Di Natale ha investito i suoi risparmi in una raffinazione di caffè, alcune pizzerie e una scuola di calcio. Tutto ciò vale per lui più del passaggio a una “grande”, con incremento milionario dell’ingaggio.
Proverbio da abbinare a Di Natale: chi si accontenta gode.
Una settimana dopo, sullo stadio milanese di San Siro, è calata l’ombra gigantesca di Zlatan Ibrahimovic. E noi interisti che traemmo goduria ineguagliabile dalla potenza devastante del balcanico-scandinavo col profilo rapace, stavolta non abbiamo sofferto più che tanto vedendolo sollevare una sciarpa rivale dai colori rosso e nero. Perché Ibra aveva già troncato un anno prima la relazione sentimentale, compiendo sul prato del Camp Nou il gesto più tipico del mercenario calcistico: un bacio alla maglia blaugrana. Trasferendosi vittorioso dall’Inter al Barcellona, così come già prima dall’Ajax alla Juventus, Zlatan Ibrahimovic consolidava il primato di giocatore più pagato del mondo. Tanto che una leggenda metropolitana sostiene che il suo sfizio sia comprarsi una Ferrari al mese. In effetti potrebbe permettersela con poco più del 10% del suo onorario. Vero è che a Barcellona ha deluso, e il ritorno a Milano nella squadra rivale dell’Inter gli comporta per la prima volta un ribasso dell’ingaggio. Ma anche tale sacrificio deriva dal suo bisogno di non fermarsi nella corsa giramondo verso l’assoluto.
Proverbio da abbinare a Ibrahimovic: chi non risica non rosica.
Non c’è dubbio che il campione più in sintonia con l’umore del tempo contemporaneo, tra Di Natale e Ibrahimovic, sia il secondo. E non solo perché sul campo può anche deludere, ma poi inventa sempre qualcosa d’impareggiabile. Ben più raro è ormai nel calcio imbattersi in scelte di vita fedele e quieta, alla Di Natale. Certo, esistono ancora i giocatori-bandiera, legati per sempre ai colori di una società: Zanetti, Del Piero, Totti, per citare i più famosi del campionato italiano. Ma si tratta di eccezioni. La nostra morale corrente è forgiata assai più dal “chi non risica non rosica”, relegando la moderazione del “chi si accontenta gode” a virtù dei deboli.
Proviamo a chiederci però quale delle due condotte esistenziali desidereremmo incontrare nei nostri partner di vita. L’irrequietezza sempiterna o l’appagamento per ciò che si è costruito insieme? Un infedele come me non può certo permettersi di fare la predica a Ibrahimovic. Né mi stupisce che i figli interisti giocatori di play station, dopo averlo tanto amato, ne salutino con piacere il ritorno sia pure alla testa dei rivali. Ma nessuno mi toglie dalla testa che sarà la saggezza dei Di Natale a tenere insieme le nostre comunità, squadre di pallone comprese.

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