Il “caso Mentana” e il giornalismo retorico

mercoledì, 15 settembre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Rimasto per sei anni lontano dalla conduzione di un telegiornale, Enrico Mentana sta togliendosi in questi giorni parecchie soddisfazioni. Grazie a lui il TgLa7 cresce impetuosamente, centinaia di migliaia se non milioni di persone si sono rimesse a fare zapping nell’ora di punta della sera, e le reti ammiraglie della tv generalista scoprono all’improvviso di avere le rughe.
A riprova del fatto che La7 è diventata di moda, basta scorrere le prossime pagine di “Vanity Fair”: sarà una coincidenza se i titolari di rubrica del vostro settimanale preferito sono finiti tutti a lavorare nella medesima rete alternativa, fuori dal sempre più omologato duopolio Rai-Mediaset? Chiedo scusa, fare il gradasso non mi piace. Teniamo i piedi per terra e rispettiamo la concorrenza, anche se una certa euforia dovrebbe esserci concessa dopo tanti anni in cui abbiamo tirato la carretta in solitudine, e pareva che l’unico modello televisivo vincente fosse quello che tratta lo spettatore medio da minus habens.
L’exploit di Mentana, al di sopra delle più rosee aspettative, segnala una carenza di contenuti e un problema di tono del giornalismo italiano. La fame di contenuti, cioè di notizie vere e non filtrate con l’autocensura, ha reso impietoso il confronto fra il nuovo Tg e i suoi cugini grossi. Ma è sul tono del giornalismo italiano, anche quello non allineato al predominio berlusconiano o esplicitamente d’opposizione, che vorrei spendere qualche parola meno scontata.
E’ un discorso delicato, e so bene che riguarda anche me. Il degrado del sistema di potere italiano ci sollecita a scelte militanti, a non dissimulare l’indignazione. Tanto più che non mi sono mai piaciuti i finti neutrali. Molto meglio dichiarare come la pensi, e poi renderti credibile attraverso la curiosità e il rispetto che esprimi nei confronti di chi la pensa diversamente da te. Lo stesso Mentana, talvolta indicato come modello di neutralità assoluta, si è ritrovato a testimoniare un percorso sintomatico: dapprima espressione perfetta della tv commerciale berlusconiana, in seguito ne sarà allontanato come elemento di disturbo. E oggi dà il meglio di sé in alternativa ai vincoli di chi l’aveva prescelto diciotto anni fa. Ma il suo successo attuale dovrebbe far riflettere anche tanti colleghi bravissimi, fra i talenti migliori e fra i più coraggiosi, che il degrado circostante induce a modificare atteggiamento nei confronti del pubblico.
Non ha avuto scelta Roberto Saviano, braccato dai criminali, e dunque risulterebbe vile ogni considerazione sulla sua postura. Ma come lui sono approdati al teatro altri giornalisti militanti, spesso in forma di monologo civile sul modello di un Ascanio Celestini o di un Moni Ovadia. Penso a Marco Travaglio, ma anche a Gianantonio Stella, Corrado Augias, e altri ancora. Numeri uno, in grado di fare il tutto esaurito e di conquistare una platea amica. Buon per loro, ma Mentana ci ricorda che il giornalismo è sì testimonianza civile, ancor meglio se concimata di antiretorica.

P.S. Mi ha favorevolmente colpito l’annuncio di Claudio Scajola, in procinto di ritornare nell’agone politico dopo quattro mesi d’astinenza: venderà la casa romana affacciata sul Colosseo, e devolverà in beneficienza i famosi novecentomila euro pagati “a sua insaputa” dalla cricca. Lui si limiterà a recuperare i seicentomila euro usciti dalle sue tasche. Encomiabile. Speriamo solo che Scajola renda nota l’associazione destinataria del suo bel gesto. Non sia mai che a un don Ciotti un giorno, ohibò, capiti di ritrovarsi novecentomila euro sul conto a sua insaputa, come accaduto al povero ex ministro.

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