Toni Negri: una risposta a Chiaberge

mercoledì, 22 settembre 2010

Nel suo blog pubblicato su www.ilfattoquotidiano.it Riccardo Chiaberge mi scrive questa lettera che riporto con la mia risposta.
Caro Gad,
sono da sempre un fedelissimo dell’Infedele, ma ieri sera mi hai costretto ad abiurare cambiando canale. C’era proprio bisogno di invitare il professor Toni Negri a una puntata dedicata alla lotta di classe? Come ricorderai, prima che un filosofo della politica autore di saggi sulla globalizzazione (Impero, Moltitudine, Commonwealth), Negri è stato il fondatore di Potere operaio, l’organizzazione di ultrasinistra che traghettò migliaia di giovani italiani dalle utopie del Sessantotto alle scelte suicide (e omicide) dell’insurrezione armata e del terrorismo. E soprattutto per questo e per i trascorsi giudiziari che ne derivarono, il professore di Padova passerà alla storia. Difficilmente per i suoi libri “apprezzati anche ad Harvard” come hai detto tu ieri sera. Forse nel presentarlo, giusto per completezza dell’informazione, sarebbe stato opportuno citare alcuni suoi scritti degli anni di piombo, ripresi nel libro di Angelo Ventura, Per una storia del terrorismo italiano (Donzelli). Per esempio, il documento del 1974 in cui Negri usa per la prima volta la formula di “Stato imperialista delle multinazionali”, che poi ritroveremo nei deliri delle Brigate Rosse. O l’articolo di Potere operaio (maggio-giugno 1972) dove si invitano i proletari a colpire “il corpo fisico del potere” non soltanto ai vertici, al livello dei “generali“, ma al livello dei “sergenti“, “i sottufficiali dell’apparato di dominio capitalistico“: ingegneri, poliziotti, giudici, professori “imputabili perché esistono, perché il loro mero esistere è il presupposto della violenza organizzata del dominio”. Ventura è una vecchia conoscenza di Toni, essendo stato suo collega all’università di Padova in quegli anni terribili, e fu poi ferito da un commando terrorista che voleva eliminarlo, probabilmente perché “il suo mero esistere” avallava lo Stato imperialista delle multinazionali.
Mi dirai che tutto questo è acqua passata, e che anche Giuseppe Mazzini, come ci ricorda Martone nel suo ultimo film, era un sovversivo ricercato dalle polizie di tutta Europa. Ma Negri, fino a prova contraria, non è Mazzini e le sue teorie di ieri e di oggi non aiutano a fare o rifare l’Italia. Tornando alla libertà nel 2003 il professore dichiarò: “Vorrei dare una spinta alla generazione che è stata emarginata dalle leggi anti-terrorismo degli anni Settanta in modo che ancora partecipi alla vita pubblica e democratica”. Ad avere bisogno di una spinta oggi sono le nuove generazioni che si arrabattano nel limbo del precariato. Ma che per partecipare alla vita democratica non hanno certo bisogno delle fumose teorie di un vecchio agitatore, protagonista quarant’anni fa di una sciagurata rivoluzione abortita. E che sarebbe meglio lasciare a sproloquiare tra gli intellettuali marxisti di Harvard o della Sorbona, invece di rilanciarlo come opinionista della Sette.
Riccardo Chiaberge

Caro Riccardo,
L’Infedele non è un tribunale delle coscienze. Con i tribunali della Repubblica Italiana il professor Toni Negri ha da tempo saldato per intero i suoi conti, scontando fino all’ultimo la sua condanna detentiva, a differenza di altri ospiti della mia e di altre trasmissioni televisive. Il pensiero critico e antagonista di Toni Negri assume oggi una rilevanza accresciuta dalla crisi internazionale del capitalismo e della corrente neoliberista. Per questo le sue tesi vengono discusse ampiamente negli Stati Uniti e negli altri paesi europei. Non sarò certo io a trattarlo come un appestato nè a erigere un pregiudizio conformista nei suoi confronti. Lascialo dire a chi, negli anni Settanta, ha combattuto in prima persona le sue tesi e il movimento degli autonomi.

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