Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
“Immaginatevi un campo nomadi tra i vigneti del mio vecchio Gad”, scrive Toni Capuozzo sul “Foglio”, sposando l’argomento più in voga del malumore popolare. Perché i “difensori dei rom” non se li prendono a casa loro, specie se sono ricchi?
Per “difensori dei rom” –spesso equiparati rozzamente a protettori dei delinquenti, ma non è il caso di Capuozzo- si intendono i fautori di politiche pubbliche d’integrazione abitativa, scolastica, lavorativa. Ovvero i critici delle centinaia di sgomberi effettuati per vantarsi sotto elezioni; resi inutili pure dalla circostanza che la maggioranza degli zingari sono cittadini italiani. Non estradabili.
Lo sfottò cui mi sottopone Capuozzo –“Zingari nella vigna di Gad”- ricorre ad argomenti banali, come la domanda retorica: sarei felice di avere un campo rom davanti a casa? Risposta ovvia: no, e state tranquilli che nessuna giunta né di destra né di sinistra lascerà che ne sorgano nei quartieri in cui vivono i benestanti. Ma chiama in causa un tema talmente sdrucciolevole –la coerenza tra parole e azione- che perfino il mio censore avverte il bisogno di fornire credenziali non richieste: sia ben chiaro che suo padre collaborò a salvare centinaia di ebrei, ne nascose uno in casa…di più, Toni Capuozzo esibisce una sua personale scelta d’accoglienza, intima e nobile, per la quale tuttora l’ammiro.
Forte di siffatti argomenti, chiede a me, prototipo del ricco di sinistra: pensi di cavartela scrivendo articoli politicamente corretti, quando potresti fare ben altro per i rom? Mi sorprendo nella tentazione di rifugiarmi dietro a mia moglie Umberta, che lavora alla Casa della Carità di don Virginio Colmegna fin dalla sua fondazione; o magari di lasciarmi sfuggire pure io coinvolgimenti familiari che invece non meritano di venire esposti al suo sarcasmo. La mia vigna di quasi due ettari in Monferrato (produce settemila bottiglie) è bella in questi giorni di vendemmia. Ciò si deve al duro lavoro di Jan Primovici, talvolta aiutato dal connazionale Jan Mirkos, guidati dal talento contadino del mio socio Fabrizio Iuli. Sono molto ripidi, i filari, e comunque i rom non meritano di essere trattati come merce umana da piazzare qui o là secondo le ubbie scherzose di Capuozzo.
Sono trascorsi poco meno di quarant’anni dal breve periodo in cui ci trovammo assieme dentro Lotta Continua, io e lui. E’ bello che tale ricordo pesi ancora nella misurazione del giudizio reciproco. Capuozzo ha girato il mondo, sa quanta ipocrisia lubrifica le nostre contraddizioni. Trova scivoloso che, dall’alto del mio tenore di vita, io richiami il dovere di un intervento pubblico non solo per reprimere la delinquenza, ma anche per tutelare una minoranza detestata. Solo chi vive in mezzo ai rom ha il diritto di chiederlo? Dobbiamo rassegnarci a vivere in una società a compartimenti stagni in cui la sfera pubblica è abolita e la filantropia sostituisce lo Stato?
Capuozzo non giunge a tanto, a lui basta mettermi in imbarazzo con le misure del tasso di coerenza. Sa di riscuotere applausi facili irridendo lo sfacciato benestante che sproloquia sulla necessità di politiche sociali. Sia esposta al pubblico ludibrio l’intera categoria dei ricchi di sinistra, esseri contro natura. Sia reso omaggio al possidente di destra che non si espone; al massimo fa beneficienza, ma senza azzardare pareri su un tema improprio come la giustizia sociale.
Cin cin, caro Toni Capuozzo. La barbera anche quest’anno è squisita. Invece la propaganda dei politici contro i rom continua a fare schifo.