Rosy Bindi, Berlusconi e la bellezza

mercoledì, 6 ottobre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Chi sarà il più bello tra Rosy Bindi e Silvio Berlusconi?
Me lo chiedo sulle pagine di “Vanity Fair”, ispirate a canoni estetici molto severi, dunque so di sfiorare il ridicolo, ma me lo chiedo molto seriamente. Procedo tenendo appoggiata, di fianco alla tastiera del pc, la fotografia con cui il nostro settantaquattrenne presidente del Consiglio ha fatto tappezzare di manifesti Milano, prima di tenervi domenica scorsa un acceso comizio al Castello Sforzesco.
Dunque sto parlando di una foto che si è scelto lui, cioè in cui si piace, o per lo meno da cui si sente ben rappresentato. Guardiamolo insieme, senza pregiudizi: vi sembra un bell’uomo?
La pelle del viso ha una colorazione innaturale e la levigatezza da cui è contraddistinta ne determina un’ipertensione tale che il sorriso finisce deformato in smorfia. Non aggiungerò dettagli sull’arcinota peluria che ricopre il capo del Capo, se non per rilevare che il suo ritratto truccato e artefatto lo rende sempre più somigliante alla caricatura di un dittatore nordcoreano. O alla maschera tragica di un clown cui una lacrima sta per sciogliere il rimmel.
Non credo di sbagliare immaginando un uomo anziano, pieno di acciacchi, disastrato nei rapporti familiari, privo di un rapporto equilibrato con la femminilità, alle prese con la decadenza fisica, che dedica molto tempo a guardarsi allo specchio.
Ciò spiega l’evidente ossessione che quest’uomo manifesta nei confronti di Rosy Bindi. Cioè una donna che certamente non corrisponde ai severi canoni estetici di “Vanity Fair” ma appare consapevole, quieta, risolta, naturale nell’accettazione della sua fisicità. Già Luigi Manconi ha interpretato acutamente l’ossessione del premier per la Bindi come ansia, generata dalla decadenza fisica, “l’usura del tempo e l’infiacchirsi e l’inflaccidirsi del corpo”. Posso ben capirlo io, di quasi vent’anni più giovane, eppure già consumato.
Ma temo che nella mentalità di Berlusconi ci sia un handicap generazionale che la sua elevata posizione di potere non lo aiuta a fronteggiare. Proteso invano alla ricerca del bello, egli contempla che una “racchia” qual è la Bindi dovrebbe andare a nascondersi, mortificata dalla sciagura di non piacere a uomini come lui. La eleva con pervicacia a archetipo della cultura che detesta, perché in verità lo inquieta la spigliatezza manifestata da quella donna nell’infischiarsene delle apparenze.
L’accanimento reiterato da Berlusconi nei confronti di Rosy Bindi, confida di isolarla e ridicolizzarla perché in tanti condividiamo le debolezze esistenziali del maschio declinante. Senza il di più della bestemmia con cui ha condito la sua ultima barzelletta, neppure saremmo qui a parlarne. Allo stesso modo, noi ebrei taceremmo sulle barzellette che ci riguardano, non sopportando l’idea di apparire poco spiritosi, non abbastanza “di mondo”, se a suffragare il nostro malessere non avesse provveduto un epigono del berlusconismo come il senatore Ciarrapico, con la sua imprecazione contro i portatori di kippà, alle cui cospirazioni il traditore Fini si sarebbe sottomesso.
Il becerume che assume il potere come canone estetico –fino a rendersi patetico nelle fotografie ritoccate- vorrebbe gratificarsi di nemici misteriosi, che siano i giudici o il giudaismo internazionale. Ma va a sbattere prima contro delle signore toste, con o senza trucco, con o senza tacchi, capaci di fargli sapere: non sono una donna a sua disposizione.

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