Afghanistan, la guerra impossibile da vincere

mercoledì, 13 ottobre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Sulle bare dei poveri alpini morti in Afghanistan –che una retorica detestabile si ostina a chiamare “ragazzi”, anziché uomini adulti quali sono- rischia di consumarsi un balletto ipocrita. Bombardare il territorio con gli aerei renderebbe forse più sicuro il tragitto dei convogli militari soggetti alle imboscate dei Taliban e agli ordigni seppelliti sulle piste? Ne dubito.
Resteremo a combattere una guerra che è impossibile vincere fino a quando non saranno gli americani a elaborare una strategia alternativa. Questa è la verità, checché ne dicano le ali estreme dei nostri soliti due schieramenti contrapposti. Perché lo sbrindellarsi dell’alleanza atlantica sarebbe un regalo irresponsabile ai vari nemici dell’occidente cui apparteniamo, e da cui dipende la nostra sicurezza.
Non mi si venga a dire, però, che restiamo per difendere la libertà dal velo delle donne afghane, o il diritto di voto a suffragio universale di quella martoriata popolazione. Più verosimile sarebbe ricordare che l’impervia terra asiatica nella quale da secoli si fronteggiano clan e potenze straniere, in mezzo alle coltivazioni d’oppio, si trova oggi a far da cuscinetto tra i due Stati più problematici del mondo, dal nostro punto di vista: il Pakistan e l’Iran.
Il Pakistan dovrebbe essere una nazione islamica schierata dalla parte degli Usa, invece è una polveriera che minaccia il vicino indiano e rivela l’impotenza americana. Se i governanti pakistani non orchestrano le scorrerie dei Taliban, per lo meno ne condividono la mentalità.
Dall’altra parte, a ovest, c’è l’Iran degli ayatollah e di Ahmadinejad. Gli integralisti sunniti Taliban disprezzano come eretica la culla persiana dell’islam sciita, ma la storia ci insegna che le controversie teologiche possono cedere il passo a spregiudicate alleanze, di fronte a un nemico comune. Il che ci mette di fronte a un dato di fatto imbarazzante: per mutare efficacemente strategia in Afghanistan –ritirando il grosso delle forze Nato nel 2011, instaurando un dialogo con i Taliban moderati, rinforzando l’esercito nazionale di Kabul- bisognerebbe trattare l’Iran come un partner e non come uno Stato-carogna. Avremo il coraggio di concedere spazio vitale a Teheran, sapendo il terrore che ciò provoca tra i vicini sunniti del Golfo prima ancora che tra gli israeliani?
A sospingere verso il disimpegno in Afghanistan non solo gli italiani, ma prima di tutto gli americani, sono le cifre della guerra impossibile da vincere. Dura da nove anni, cioè dall’ottobre del 2001. Per quanto riguarda il nostro esercito, nella sua storia non è mai rimasto impegnato tanto a lungo su un fronte di combattimento. Ma è soprattutto a Washington che immagino stiano notando l’avvicinarsi di una scadenza di occupazione decennale del territorio afghano: fu proprio nel 1989, a dieci anni dall’entrata dell’Armata Rossa in Afghanistan, che le difficoltà sovietiche si trasformarono in calvario. Dubito che gli americani sopportino l’idea di vivere un biennio simile all’89-91 subito dai russi. Anche per Obama la guerra impossibile da vincere ha conseguito un record di durata senza precedenti.
Non sarà incrudelendo la missione con bombardamenti le cui vittime sarebbero civili innocenti, ma solo attraverso un negoziato globale, che potremo gestire senza disonore la prevedibile ritirata.

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