Quelle bieche simpatie per i cetnici

giovedì, 14 ottobre 2010

Intervengo (con ritardo, causa viaggio) sul vergognoso assalto cetnico allo stadio di Genova, innanzitutto da titolare di una tessera del tifoso: ci ho messo delle ore per farla -senza non avrei potuto rinnovare l’abbonamento all’Inter- con file in banca e maledizioni di chi aspettava dietro di me. Che siano stati ammessi in curva tanti energumeni armati, in barba ai proclami securitari del ministro Maroni, conferma che il pugno duro è un messaggio ideologico e retorico che non migliora la nostra esistenza pratica.
Mi ha impressionato che ieri Umberto Bossi abbia sentito il bisogno di ribadire la sua simpatia nei confronti del nazionalismo serbo, così come aveva fatto all’Infedele di lunedì scorso Gian Paolo Gobbo (“noi eravamo lì a Belgrado, sotto le bombe, di fianco ai fratelli serbi”). Naturalmente è la chiave anti-islamica a spiegare questa fedeltà a coloro che per primi disseppellirono dal suolo balcanico ossessioni identitarie minacciose negli anni Ottanta: la retorica di una patria reazionaria, intesa come appartenenza non condivisibile.
Quando parlavamo di balcanizzazione delle tribù del calcio, e denunciavamo il pericolo che questa logica di clan contaminasse la politica e distruggesse il sentimento nazionale, ci riferivamo proprio a questa lezione storica inascoltata proveniente dalla ex jugoslavia.

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