Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Domani Milano potrebbe riservare una grossa sorpresa alla politica italiana.
Qualcosa è cambiato in città, e lo misureremo dal numero dei cittadini che si recheranno alle urne per scegliere il candidato sindaco del centrosinistra in quella che da quasi vent’anni viene considerata la roccaforte inespugnabile del berlusconismo, del leghismo e dell’affarismo. Nell’aria si respira passione civile, voglia di partecipare e, per la prima volta, anche la speranza di farcela. La sfida, resa appassionante dall’esito incerto, è fra “uomini nuovi” ma conosciuti e rispettati (Boeri, Onida, Pisapia) che si contendono i voti in un clima unitario, pronti a sostenersi l’un l’altro fin da lunedì prossimo. Con loro si è confrontata una galassia di comitati di quartiere, associazioni civiche, movimenti del volontariato sociale, galvanizzati dalla possibilità di rispecchiarsi in una leadership di cui condividono valori e programmi. Niente più soluzioni di ripiego da votare tappandosi il naso, figure tecniche o comunque sbiadite, “inventate” per adeguarsi alla cultura dominante.
Il gran borghese Guido Rossi saluta queste primarie addirittura come “un punto di svolta per un nuovo illuminismo ambrosiano”. Ma stavolta a risvegliarsi non pare solo la Milano élitaria dei salotti, nauseata dall’illegalità diffusa e dai litigi che paralizzano i gruppi di potere locali. E’ nelle periferie a lungo dimenticate che gli appuntamenti con Boeri, Onida e Pisapia hanno registrato la partecipazione di migliaia di elettori, molti dei quali fino a ieri propensi all’astensione. Gli stessi comitati di sostegno alle candidature sono stati animati dall’impegno di giovani alla loro prima esperienza politica.
Naturalmente solo il numero dei partecipanti al voto di domani potrà confermare che non si tratti di un’illusione ottica. Furono 72 mila nell’ottobre di due anni fa i partecipanti alle primarie del Partito democratico. Misureremo se, e di quanto, aumenteranno. Ma se questo sussulto civico non è un’impressione, allora Milano potrà rivelarsi laboratorio politico nazionale di un’opposizione che finora non è riuscita a capitalizzare consensi proporzionati al plateale fallimento del centrodestra. Forse davvero la crisi istituzionale e la disistima nei confronti della classe politica possono trovare un antidoto nella rinascita di una democrazia dal basso che si nutre di partecipazione e ascolto.
Il braccio di ferro tra potentati che ha paralizzato l’Expò 2015, lo scandalo dei rifiuti tossici mai smaltiti, il crac degli immobiliaristi cui la politica locale si è legata mani e piedi, la falsa emergenza rom, gli insulti al cardinale Tettamanzi, la rissa nelle Asl e l’infiltrazione della criminalità organizzata, suscitano un moto di ripulsa generalizzata nella cittadinanza. Neppure negli anni di Tangentopoli Milano si era mai ritrovata preda di un tale degrado culturale, pagato con la crescita delle disuguaglianze sociali e l’impoverimento del suo tessuto urbano. Lo sanno bene anche Berlusconi, Bossi, Formigoni e La Russa che, se potessero, indicherebbero volentieri un candidato sindaco alternativo all’impopolare Letizia Moratti. Lo ha capito anche Fini, che non a caso ha convocato il primo congresso di Futuro e Libertà proprio a Milano nel prossimo mese di gennaio, sognando nel frattempo di convincere l’ex sindaco Gabriele Albertini a una candidatura “terzista” che difficilmente giungerebbe al ballottaggio, ma che potrebbe sancire la sconfitta di Berlusconi e Bossi nella loro capitale.
Milano scopre così di non essere necessariamente terra straniera per la sinistra. Al contrario, ricorda di essere stata la culla del socialismo riformista che l’ha amministrata con giustizia sociale nei decenni della modernizzazione grazie a sindaci della levatura di Antonio Greppi, Aldo Aniasi, Carlo Tognoli. Del resto già nelle ultime elezioni provinciali e regionali la destra vi ha prevalso solo per poche migliaia di voti, anzi, nel perimetro comunale nel 2008 Filippo Penati sopravanzò il berlusconiano Guido Podestà.
Ora i milanesi delusi dal fallimento della destra, in quella che avrebbe dovuto diventare la sua città modello, scoprono la possibilità di un’alternativa dal basso. Si chiama democrazia partecipata, ha già dimostrato di saper promuovere personalità autorevoli e indipendenti. Domani Milano potrebbe lanciare un segnale di riscossa della politica pulita, alla quale ci eravamo disabituati.