Gli arzilli vecchietti della classe dirigente

mercoledì, 1 dicembre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Lo scorso giovedì 25 novembre, quando Emilio Fede ha scagliato dal Tg4 quel brutto anatema -“menateli!”- sugli studenti universitari in lotta, lo sguardo di noi telespettatori non poteva correre altrove che sullo zigomo illividito del maturo anchorman, tamponato inutilmente con il fard.
Fin troppo facile, la proiezione: Fede sfogava in quel greve “menateli!” il disagio di chi era stato appena menato. Pugni in testa e sulla faccia, ahimè, ricevuti da un energumeno di nome Gian Germano Giuliani, 73 anni, noto per l’amaro medicinale prodotto dalla sua azienda. Ci mancava anche questa, al povero Emilio Fede prossimo a compiere ormai gli ottant’anni. Età veneranda, inadatta a racconti sguaiati sulle ragazze da selezionare per le feste (che gli sono valse un’indagine per favoreggiamento della prostituzione); e tanto meno a essere menato da un gentiluomo solo di poco più giovane di lui (pare che l’anziano signor Giuliani rivendicasse a cazzotti l’onorabilità della sua terza moglie, 38 anni, sui giornali maliziosamente definita “bella ex commessa”).
E’ di fronte a questa terza età vissuta come la vivono di notte Fede e Giuliani, tra una festa e un ristorante alla moda, al fianco di giovani donne attraenti, che sorgono in me alcune domande sull’amore. Sì, proprio sull’amore, lasciate che vi spieghi.
Non ho alcun titolo morale per criticare le scelte esistenziali di questi signori, e se mi permettessi di farlo certamente essi reagirebbero accusandomi di essere mosso da invidia nei loro confronti. La loro propensione al corteggiamento e al gioco amoroso, trascinati in tarda età fino alla parodia, verranno da altri omaggiati come lodevole attaccamento alla vita. Amore, per l’appunto. Perché non dovrebbero, visto che possono permetterselo? Infine c’è l’argomento più diffuso e meno facile da contestare: dove sarebbe la novità? Da sempre, nei secoli, il potere e il denaro hanno consentito a maschi anziani di contornarsi di donne giovani e belle. Le quali talvolta se ne innamorano davvero, e in ogni caso ne traggono contropartite momentanee se non vantaggi definitivi.
Ma è proprio questo argomento forte, quasi inconfutabile, il pilastro che a mio parere ha cominciato a scricchiolare. Leggo sul “Manifesto” una riflessione interessante dello scrittore Christian Raimo, intitolata “L’antiamore vincente di Berlusconi”. Smaschera la nostra curiosità morbosa per le ragazzine che hanno frequentato le ville del premier e che noi clicchiamo in pose seducenti sui siti dei giornali più seri. Partecipiamo così, da guardoni, alla consuetudine secondo cui tutto ha un prezzo, dunque anche la disponibilità del corpo femminile. Il luogo comune non dice forse che la prostituzione è il mestiere più antico del mondo? Saremmo noi davvero capaci di un amore che sia diverso dall’antiamore vincente di Berlusconi?
Eppure io provo sul serio imbarazzo di fronte a Fede e agli altri vecchi benestanti che ostentano sulle riviste o in tv la loro perdurante esuberanza sessuale. Credo che ciò dipenda da com’è mutata la nozione di amore in seguito alla rivoluzione femminista. La pretesa delle donne di essere considerate persone alla pari con gli uomini, pur nelle frequenti disuguaglianze di reddito, ha fatto sì che anche per molti maschi non sia più concepibile l’amore come soddisfazione unilaterale, o se volete come dominio legittimato dal denaro.
Quando Emilio Fede il 24 giugno prossimo compirà 80 anni, verrà festeggiato e ricordato più come selezionatore delle ragazze di Berlusconi che come direttore di telegiornale. Se l’è cercata, a volte un uomo finisce per rendersi ridicolo da solo.

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