Ritratto di Verdini, il “me ne frego” del Palazzo

mercoledì, 8 dicembre 2010

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
A volte i rapporti di buon vicinato sono una fregatura, e io vado al mare in Toscana da parecchi anni in una casa vicina a quella di Denis Verdini. Sapete com’è: i figli si incontrano sulla spiaggia, più di rado una cena da amici comuni…
Ne scrivo dunque a malincuore, dopo che il plurinquisito coordinatore del Pdl, incendiando la vigilia di una possibile sfiducia del governo Berlusconi, si è distinto nell’ormai celebre “noi delle prerogative del Quirinale ce ne freghiamo”. Per la verità lo scorso mese d’agosto il Denis –già nella bufera- aveva disertato il rifugio maremmano. Semmai era divenuto oggetto del chiacchiericcio da villeggiatura che non è mai generoso con i perdenti, specie quelli come lui che non dissimulavano il potere conseguito. Ma tant’è, l’uomo incarna così platealmente la fase terminale del ciclo berlusconiano, da risultarne una metafora esemplare.
Ricordo lo stupore con cui lessi una sua conversazione telefonica pubblicata sui giornali, appena furono rese pubbliche le indagini sulla cricca. Parlando con un imprenditore suo amico, Verdini spiegava di aver rinunciato a un incarico di ministro perché lo avrebbe costretto a lasciare la presidenza del Credito Cooperativo Fiorentino, che invece valutava compatibile col suo ruolo al vertice del partito di maggioranza relativa. Quando mai, in passato, un politico chiamato a dirigere la più grande forza politica del paese si preoccupava di mantenere la presidenza di una banca, senza avvertire uno scrupolo di incompatibilità?
La mancanza di scrupoli emerse ancor più clamorosa nell’intervista che poco dopo Verdini diede al “Corriere della Sera”. Ammetteva di essersi adoperato per la nomina di Fabio De Santis a provveditore dei Lavori Pubblici della Toscana su richiesta dell’amico imprenditore Fusi, considerandola una normale pratica politica. Se occupo una posizione di potere pubblico, in teoria finalizzata a perseguire l’interesse generale, perché mai non dovrei favorire i miei sodali a dispetto dei loro concorrenti? Forse non sarà reato, ma è così che degenerano le istituzioni dello Stato.
Poi sono venute le accuse di conflitto d’interessi per 60 milioni che hanno costretto Verdini a lasciare la presidenza del Credito Cooperativo Fiorentino. E ancora le imputazioni per l’eolico in Sardegna e per gli appalti del dopo-terremoto in Abruzzo. Come se non bastasse, l’inchiesta romana sulla P3, dopo la testimonianza rilasciata in carcere dall’ex magistrato Pasquale Lombardi, ipotizza che Verdini insieme a Dell’Utri si sarebbe adoperato per favorire la Mondatori nel suo ricorso fiscale presso la Cassazione per centinaia di milioni.
Protetto dall’immunità parlamentare, il coordinatore del Pdl ha continuato a fare politica come la intende lui. Mara Carfagna, per esempio, lo indica come protettore di quel Nicola Casentino che guida il partito in Campania nonostante la magistratura chieda di arrestarlo per concorso esterno in associazione camorristica.
Trovo dunque del tutto coerente che Verdini opponga il suo “ce ne freghiamo”, rivendicato come prerogativa politica, al diritto costituzionale del Presidente della Repubblica nella gestione di un’eventuale crisi di governo. Meno normale, se permettete, è che il Popolo della Libertà non abbia ritenuto opportuno tutelarsi con un ricambio al vertice del partito, visto che Verdini mescola di continuo affari privati e questioni di Stato.
Oppure è proprio il modello Verdini quello che si propone al paese nell’affrontare le comuni difficoltà?

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.