Si fa un gran parlare, in questi giorni, del’influsso che potrà esercitare sull’establishment italiano paralizzato la fuoriuscita della Fiat da Confindustria annunciata da Sergio Marchionne. C’è perfino chi sogna una nuova destra thatcheriana, da contrapporsi al populismo e all’interventismo politico che vanno per la maggiore.
Io non ci credo. Vedo nella mossa di Marchionne l’anticipazione di un distacco strategico dall’Italia come epicentro della produzione automobilistica Fiat. Certo, l’Italia rappresenta ancora il 40% delle vendite del Lingotto, anche se la percentuale è in calo senza prospettive di recupero significative, visto che si tratta di un mercato saturo. Vedo solo due alternative: o Marchionne vince la sfida Chrysler negli Usa e allora ha la forza di attrarre Fiat nella sua orbita, ridimensionando il peso azionario della famiglia Agnelli; oppure gli eredi dell’Avvocato chiuderanno il sodalizio con Marchionne, tornando alla vocazione italica dell’economia di relazione che il manager apolide disdegna.