Riporto l’articolo dedicatomi quest’oggi da Caterina Soffici su “Il Fatto”. Segue risposta.
Gad Lerner su Vanity Fair dedica la sua rubrica a indignarsi contro chi ha osato criticare la pubblicità della Tim con Belén. Nella fattispecie se la prende con la sottoscritta perché a giugno, quindi ben prima delle recenti polemiche sul calo delle vendite e sulla sostituzione della signorina Rodriguez come testimonial, avevo raccontato nel corso di un incontro pubblico di non aver comprato la chiavetta della Tim perché disturbata da quella pubblicità, che ritenevo maschilista, offensiva dell’immagine femminile, l’espressione massima insomma di quella “retrograda sottocultura italiana” che Lerner si vanta di denunciare nella sua trasmissione televisiva. Questo succedeva in un convegno organizzato dal comitato “Pari o Dispare” alla Statale di Milano, con partecipazione di Emma Bonino e molte altre donne delle professioni e della società civile, impegnate in una battaglia controgli stereotipi di genere, le discriminazioni sul lavoro, in famiglia. Scrive l’indignato Lerner: “Non mi assocerò a una campagna puritana di boicottaggio della povera, simpatica Belén, tanto più ora che si pretende di addebitarle il calo delle vendite dei prodotti Tim”.
Vorrei per prima cosa rassicurare il dipendente Telecom, Gad Lerner, che ho poi comprato la chiavetta Tim nonostante Belén, perché l’offerta era la migliore per le mie esigenze. Quindi, almeno da parte mia ho contribuito a tenere alte le vendite (e il suo lauto stipendio). Vorrei poi chiarire che qui non si tratta di campagne perbeniste e puritane. Le battaglie etiche le lasciamo alle Binetti e ai ciellini e non c’è niente di personale contro la povera Belén, vittima più che artefice di quella pubblicità.
“Mica dovremo trasformarci tutti quanti in bacchettoni per colpa di una classe dirigente di puttanieri?”, ironizza Lerner. Eh no, caro mio. Troppo facile far passare per “bacchettone” chi critica una pubblicità dove una ragazza viene sbattuta mezza nuda su cartelloni tre metri per sei. Non è certo il nudo che disturba, caro Lerner. Chissenefrega del nudo e chissenefrega se non è consono alla decenza secondo lo standard della famiglia media italiana. Il problema sta altrove, nell’immagine che si dà delle donne. Nelle pubblicità le donne sono sempre ammiccanti, quindi oggetti sessuali più o meno occultati, quindi presentate tutte come prostitute, sempre
pronte e sempre in vendita. Qui non si obietta sulla decenza o meno della pubblicità con Belén. Sarebbe troppo semplice personalizzare il problema: Belén e la sua storia con Corona, le sue frequentazioni notturne e le sniffate di cocaina. Chissenefrega dei fatti personali di Belén, lasciamo la censura alla Rai e le prediche ai difensori della morale pubblica.
Qui si discute di dignità, di discriminazione sessista, dell’uso del corpo di una bellissima ragazza per pubblicizzare delle tariffe telefoniche 2×1 (altro chiaro riferimento sessista), di questa manipolazione continua e martellante dell’immaginario collettivo per cui la donna deve essere bella per piacere al maschio. Belle e desiderabili. Grave non capire questa differenza, perché per le donne perdere il senso della propria immagine significa anche perdere la percezione di certi diritti. E se le violenze contro le donne non accennano a calare, bisogna cercare alle radici di questa cultura maschilista, spesso misogina, patriarcale e bavosa. Ma questo è difficile farlo capire a certi uomini. Ha scritto Lerner di trovare Belén “molto attraente come icona della bellezza femminile”, soprattutto quando “in pantaloncini corti tira il calcio d’inizio della partita”. Anche Vespa aveva trovato attraente il décolleté della Avallone nella serata finale del Campiello. Non per questo era autorizzato a fare apprezzamenti in diretta
tv. Ma il rispetto è difficile farlo capire a certi uomini.
Caterina Soffici
Anch’io come ho scritto, trovo brutte le pubblicità della bella e incolpevole Belém. Consideravo però sbagliata la proposta del boicottaggio annunciato in assemblea ma, apprendo ora, non attuato da Caterina Soffici. Liberissima di pensare che a motivarmi sia stata la difesa del mio lauto compenso: è un argomento frequente,questo, nei salotti comuni che frequentiamo, dove peraltro ci si concede abitualmente una dose di cordialità e d’ironia maggiori rispetto a quella che mi riserva l’ex caposervizio delle pagine culturali del “Giornale” di Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro. L’entusiasmo dei neofiti, e delle neofite, va comunque apprezzato.