Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Attraversando i luoghi del potere familiare, dal sontuoso palazzo in riva al lago fino alla squadra di calcio rossonera del suo cuore, l’intervista rilasciata da Barbara Berlusconi a “Vanity Fair” rappresenta dal di dentro, dunque con rara efficacia, l’approccio sentimentale contraddittorio ispirato (non soltanto a lei) da cotanto padre, rimasto capo dell’Italia nonostante la burrasca politica del dicembre 2010.
Ammirazione, condivisione, sottomissione, disagio, rassegnazione, distacco culturale. Una testimonianza ufficiale, posata, per nulla frivola come questa di Barbara, documenterà in futuro la contraddizione in cui si manifesta il ciclo terminale della leadership di Silvio Berlusconi: nessuno è in grado di strappargli lo scettro del comando che egli detiene saldamente fra le mani; mentre gli riesce sempre più faticoso conservare un’egemonia sul sistema da lui stesso costruito. Stanno facendo un passo di lato perfino Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, desiderosi di “mettersi in proprio” alla guida di un giornale corsaro per meglio prepararsi al dopo Berlusconi. Un dopo Berlusconi che per indole e calcolo prevedono più leghista che democristiano, rappresentato meglio da un’Italia che si spacca anziché da manovre per governi unitari di responsabilità nazionale.
Cito Feltri e Belpietro per segnalare che non sono solo i gerarchi creati da nulla, vincolati al suo destino, ad averlo difeso dalla sfiducia nella battaglia parlamentare, infliggendo a Gianfranco Fini una sconfitta da cui non gli sarà facile risollevarsi. E’ una più larga area di destra popolare che resta aggrappata al Capo quando estrae le risorse muscolari e finanziarie con cui riesce a sopravvivere, magari solo “folgorando” la notte prima del voto una Polidori, un Calearo, uno Scilipoti. Facendo capire che altri seguiranno, all’occorrenza. Lui è ancora in grado di tirarsi dietro perfino la Chiesa, bisognosa di protezioni mondane; tanto in Parlamento nessuno oserebbe ricordargli Ruby e Nadia e lo stile di vita di cui va fiero. Cosa c’entra? Al dunque è il potere che conta, non il suo contorno.
E’ significativo che anche Barbara Berlusconi, faticando a immaginare il tramonto di suo padre nonostante sia già sera avanzata, per il dopo nomini figure che saltano la generazione di mezzo: il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, rottamatore democratico che piace molto anche alla destra televisiva; e il guardasigilli Angelino Alfano, ben radicatosi in Sicilia e sfuggito così al ruolo di mero cortigiano. Ma si tratta di nomi improbabili, buttati lì tanto per dire che fra i vari Letta, i Tremonti, i Fini, i Casini, i Maroni non si troverebbe l’uomo giusto per la successione. Questo è il motivo (“dopo di me, il nulla!”) per cui Berlusconi confida seriamente di andare avanti acquisendo deputati alla spicciolata, col tariffario Verdini. E cadrà solo quando la Lega valuterà conveniente emanciparsi dalla sua leadership, magari dopo aver conseguito l’obbiettivo di diventare il più grande partito politico del Nord.
Mi fa piacere che Veronica Berlusconi, come si apprende dall’intervista, abbia letto il saggio “Sii bella e stai zitta” (Mondadori) della filosofa Michela Marzano: io continuerò a invitarla in tv, alla faccia di chi trova noiosi gli argomenti della dignità femminile. Né mi stupisce che anche sua figlia Barbara ne condivida le tesi, fino a rendere pubblico il disagio provocato in lei dalle Carfagna, passate frettolosamente dai Telegatti alle auto blu per il capriccio di suo padre. Questa evidenza è la ferita che impedisce ormai a Berlusconi di trasformare il suo dominio in egemonia. Una voce interiore lo angoscia: “Sei il più forte ma non ti crediamo più”.
Chiude il 2010 al comando e promette di durare fino al 2013. Ma vive rinchiuso in un sogno infranto.