Ripubblico, condividendolo, questo commento di Marco Damilano de “L’Espresso”.
«Nel Pd si è perso il bandolo della matassa. Il Pd si è trasformato, per di più, per iniziativa dei principali dirigenti del partito in un modo di essere “partito” e di “stare” nel partito che non corrisponde più alle forme evocate in passato, tanto che quasi tutte le parole che negli ultimi diciotto anni hanno accompagnato il nostro cammino comune hanno perso il loro senso».
Ancora a dare addosso al Pd? Uffa! Sarebbe una reazione più che giustificata, se non fosse per un paio di dettagli. Il primo è che la requisitoria pubblicata questa mattina dal “Corriere” non arriva da un rottamatore a caccia di titolo a effetto, ma da Arturo Parisi, l’inventore dell’Ulivo, uno dei fondatori del Pd, e da un gruppo che per comodità definiremo prodiani. Sarà pure un gran rompicoglioni per quasi tutti i capi del Pd, ma Parisi è tra i pochissimi politici italiani (a sinistra e a destra) che sa guardare lontano, anche senza binocolo. Se c’è in Italia uno straccio di bipolarismo, il suo cattivo funzionamento va semmai cercato in una rivoluzione istituzionale mai portata a compimento con pesi e contrappesi adeguati, se gli elettori del centrosinistra hanno potuto in questi anni scegliere i loro candidati con le primarie, se esiste il Partito democratico si deve alle intuizioni e alle forzature di questo scienziato pazzo. Che ha dimostrato più di una volta di conoscere l’elettorato di centrosinistra meglio lui, con tutte le sue astrattezze e astruserie politologiche, di un consumato professionista della politica.
Il secondo dettaglio è la reazione del gruppo dirigente: silenzio assoluto. Non una parola da Bersani o da Franceschini, non parliamo di D’Alema, e neppure di Enrico Letta, perfino Rosy Bindi tace.
Eppure l’avviso che il progetto è fallito non è firmato da un Calearo qualsiasi ma questa volta arriva da un pezzo di storia del partito. Letto insieme all’editoriale di Eugenio Scalfari di questa mattina su “Repubblica”, che racconta come la fallita spallata del 14 dicembre a Berlusconi potrebbe avere conseguenze letali sul Pd, l’effetto è disarmante. Tre anni di tempo si sono persi: intanto il problema di dare una rappresentanza politica all’Italia non ancora berlusconizzata si è aggravato, da Mirafiori a Palermo. E non basterà l’ennesimo, generoso viaggio in Italia di Bersani per ritrovare il bandolo che secondo gli ulivisti di Parisi si è smarrito. Il rischio è di avere una nuova situazione di democrazia bloccata, come nel primo cinquantennio di vita repubblicana, con i partiti della maggioranza sempre in maggioranza e la sinistra sempre all’opposizione, minoritaria. Solo che almeno in quella fase si poteva invocare la guerra fredda, la spartizione di Yalta, il fattore K, una vicenda storica globale e tragica. Mentre l’attuale gruppo dirigente del Pd ce la sta mettendo tutta per dimostrare anche a chi mai e poi mai è stato anti-comunista, a chi il Pci l’ha votato e difeso, che il fattore K era una creatura tutta italiana. L’immobilismo, la paura della competizione, l’incapacità di giocare per vincere.