Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Sabato 12 febbraio a Sinalunga, dov’è nata, Rosy Bindi festeggia i suoi primi sessant’anni. Che peraltro porta benissimo. Mi piacerebbe, insieme agli auguri, rivolgerle una sollecitazione: perché non prova seriamente a diventare la prima donna a capo di un governo dopo centocinquant’anni di storia d’Italia? Non vi pare che i tempi sarebbero maturi?
L’unica altra signora della politica italiana che potrebbe candidarsi autorevolmente, ma con chances di successo inferiori, alla carica di primo ministro, forse è Emma Bonino. Come Rosy Bindi ha dato buona prova di sé nei ruoli di governo che ha ricoperto; esercitando con rettitudine e generosità la militanza dell’opposizione.
Se fossi il segretario del Partito Democratico non avrei dubbi. In questi giorni di mobilitazione delle donne italiane a tutela della loro dignità violata, annuncerei la candidatura a premier della donna che Berlusconi insolentisce più frequentemente, non a caso, perché è da lui la più temuta. Ci sarebbero per il Pd almeno due vantaggi collaterali: esercitare un richiamo più forte sul mondo cattolico; e oscurare l’appeal di un concorrente temibile come Nichi Vendola.
Naturalmente le probabilità che questa idea sensata si avveri sono pochissime. Temo anzi di danneggiare Rosy Bindi nei complicati ghirigori tattici interni al suo partito, sollecitando la sua candidatura. Perché nonostante l’evidenza plateale, vorrei dire mondiale, che ha assunto la questione femminile in Italia, tutta la nostra politica (di destra come di sinistra) continua a reputarla marginale. Con l’idea sbagliata che altrove risiede la forza, il potere decisionale. Le donne essendo ridotte a massa subalterna, disoccupata, meno istruita, e quindi reputata più facilmente manipolabile.
Si badi che questo è vero anche nel centrosinistra, dove pure in teoria la parità di genere negli organismi dirigenti è sancita per statuto (mi riferisco al solo Pd). Vincolo aggirato facilmente gonfiando questi organismi fino a renderli pletorici, tanto le decisioni importanti vengono prese altrove dai notabili (maschi) che contano.
La festa di compleanno di Rosy Bindi casca bene, alla vigilia di un centinaio almeno di manifestazioni indette per domenica 13 febbraio in diverse città italiane come forma di protesta delle donne che si sentono offese dalla cultura misogina del berlusconismo. In questa rubrica se ne parla da cinque anni almeno, cioè dai primi scandali di Vallettopoli. Figuratevi che ora perfino Bruno Vespa ha scoperto l’acqua calda e trasmette servizi indignati sull’abuso del corpo della donna nella televisione italiana. Sì, proprio lui che ha inaugurato la presenza ornamentale delle soubrettes discinte di fianco agli ospiti politici. Buon segno. Vuol dire che l’indignazione per il modo in cui il potere ha ostentato la sua concezione della sessualità, è divenuta senso comune maggioritario. Risulta indifendibile. Il “Rubygate” è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Sarà interessante scoprire domenica 13 febbraio quanto vasta sia la protesta, e quanto sappia riunire insieme donne e uomini del nostro paese. Ma più interessante ancora sarà verificare, nelle settimane successive, la capacità della politica italiana di dare il buon esempio. Chi farà un passo indietro per cedere il passo a donne di valore come Rosy Bindi e tante altre?