Pino Aprile, al quale ho segnalato le numerose proteste giunte al mio blog per il trattamento che gli avrei riservato, mi ha gentilmente fatto pervenire questo commento da lui pubblicato su www.terroni.it Inutile precisare, nel ringraziarlo delle parole di stima e d’amicizia che ricambio, l’interesse dell’Infedele ad averlo di nuovo ospite sui temi della memoria risorgimentale e della questione meridionale.
Avviso ai naviganti (in rete): uso questo mezzo per rispondere, collettivamente, a quanti mi hanno inviato i loro commenti, osservazioni e critiche (quasi sempre costruttive, grazie) sulla mia partecipazione, ieri, all’Infedele, ospite di Gad Lerner. Non è una forma di scortesia da parte mia, ma siete troppi, perché possa replicare a ciascuno, singolarmente. Perdonatemelo. Tenterò, da quanto mi avete detto e da quanto è mia esperienza, di trarre qualche riflessione. Che condivido, per chi fosse interessato.
Quasi tutti vi siete lamentati del poco tempo che avrei avuto per esporre i miei argomenti. Inutile dire che a tutti piacerebbe avere tutto il tempo che serve; ma il tempo è quello che è. E io lo sapevo: l’Infedele è fatto con un numero di ospiti notevolmente superiore a quello di altri programmi di approfondimento, il che comporta interventi più brevi, salti più frequenti da un tema all’altro; persino il rischio che il più invadente occupi più spazio. Ma tutto questo fa parte del metodo; e non è che lo dovessi scoprire ieri sera. La volta precedente, per esempio, aspettavo che Lerner mi invitasse a parlare; ieri sono intervenuto più volte (quando ci sono riuscito), se ritenevo di non poter far passare senza commento certe affermazioni. Poi, a pesare con il bilancino, si possono fare altri discorsi, ma non credo, onestamente, che servirebbe a molto.
Penso ci sia altro da cogliere, e di più importante: la quantità e il tono di grande, grandissima attesa dei messaggi ricevuti prima e la combattività e il numero (ancora più grande) di quelli ricevuti dopo non ha nulla di ordinario, per una normale parrtecipazione a un dibattito in tv. A me pare, inequivocabile, una clamorosa conferma di quanto ho notato e racconto da un bel po’ (mi pare di averci pure scritto un libro, su): la potenza, la profondità, la vastità dei sentimenti identitari che ribollono a Sud è uno tsunami in formazione. Ma l’Italia non se ne accorge, perché il Sud non fa notizia, se non per monnezza e mafia. Lo stesso successo di Terroni, come ho ripetuto anche da Lerner, è da attribuire all’attenzione che si diffonde, in modo esponenziale, per i temi che toccano il Sud, il ritardo infrastrutturale a cui è stato condannato; la discriminazione oggi persino feroce, per via di un governo ostaggio della Lega Nord; la riscoperta (il “ri” sta per pura prudenza) delle pagine buie o rosso sangue di un Risorgimento che vide il Sud invaso, massacrato, rapinato…
Tutto queste provoca voglia di presenza, di ascolto. A voler usare parole forti: di giustizia. E la veemenza di questo sentire è tale, che si vorrebbe dire e fare tutto insieme. Per cui, appena uno spiraglio di possibilità si apre, tutto tende a prorompere da quel piccolo varco.
Ma le cose non vanno così; bisogna usare i tempi e i modi che si hanno, anche per aiutare chi non avrebbe mai sospettato l’esistenza di certe cose, a conoscerle, assimilarle, con il tempo che ci vuole, senza esserne travolto. Non c’è da colpire, ma da informare; non vincere, ma convincere. Le ragioni sono buone, quindi è sbagliato usarle come randello, meglio condividerle, farsele riconoscere come tali. Così, non avremo un nemico sconfitto, ma un alleato convinto nel sostenere il desiderio di giustizia tanto a lungo negata.
E questa conoscenza, questa consapevolezza, piano piano, passa. Prima, da Lerner e da altri, semplicemente non si veniva invitati a parlare di questi argomenti, ritenuti di retroguardia, da nostalgici, perdita di tempo. Oggi si è interlocutori, al contrario di ieri. Sembra poco. È tantissimo. E se i nostri argomenti sapremo farli riconoscere come solidi e seri, gli spazi saranno sempre maggiori. Io ne sono convinto; e spero di riuscire a dialogare, a farmi ascoltare. E di non essere il solo o uno dei pochi.
Quanto alla trasmissione di ieri, la mia idea (non pretendo sia l’unica valida) è che il tema abbia preso la mano al conduttore: Lerner aveva impostato tutto sui simboli (la croce, le camicie rosse, le cravatte verdi, la musica verdiana e garibaldesca… peccato l’assenza di Paisiello); ma la sostanza veicolata da quei simboli ha travolto i simboli e tirato lo stesso conduttore verso strade non previste. Infatti, Lerner ha dovuto dare molti strapponi alle redini. Ne è venuto fuori qualcosa di molto mosso, sicuramente diverso dal progetto, ma di certo interessante. Lo stesso Lerner, in trasmissione, ha espresso la sua sorpresa per la quantità di messaggi piovuti sul suo blog; e questo deve averlo indotto a riflettere su quanto il tema sia sentito, e con quanto calore. Tanto da dire che bisognerà tornarci sopra.
Lerner fa la sua trasmissione da Milano; la sensibilità giornalistica sua e della sua redazione è chiaramente influenzata dall’ambiente in cui opera, dai temi che tratta e dalla sua stessa esperienza professionale (“Profondo Nord”, “Milano, Italia”, ricordate?). Io trovo significativo che con questo bagaglio professionale, sia uno dei primi a prestare orecchio a temi apparentemente così distanti dal chiasso leghista e dall’egoismo lombardo. È un collega serio; io lo stimo molto, anche se mi sarei aspettato maggiore prontezza, da parte sua, nel cogliere i fermenti di tanta parte del nostro Paese. E su questo sono d’accordo con tanti di voi. Ma intanto, lui ci prova, ascolta. Altri, magari favoriti da contesti più vicini a quanto succede a Sud, fanno finta di niente; o fanno peggio.
Insomma: non è facile. Si esce da decenni di silenzio sul Sud; l’ultima trasmissione tv sul nostro Mezzogiorno fu proprio quella a cui ebbi la fortuna di lavorare, con Sergio Zavoli, “Viaggio nel Sud”; è tutto dire!
Pino Aprile