Provo un’ammirazione speciale per i giovani siriani che in questi giorni osano sfidare la quarantennale dittatura “laica” della famiglia Assad. Se la rivoluzione araba raggiunge perfino Damasco, allora vuol dire che nulla è impossibile. Tutto sembrerebbe congiurare contro chi lotta per la libertà in Siria. Non troverete un esperto disposto a considerare possibile, forse neppure auspicabile, la democrazia in questo paese cruciale. C’è in gioco la pace finora risultata impossibile con il vicino israeliano. Ma anche il rapporto vitale, ambivalente, con l’Iran. E poi c’è un legame storico con la Russia… Ma tutte queste paiono ancora bazzeccole rispetto al fragile equilibrio confessionale della Siria, dominata da una famiglia alawita, cioè appartenente a un’esigua minoranza. Se cadono gli Assad, pronosticavano in molti, scoppierà un conflitto terribile fra sunniti e sciiti.
Eppure la protesta dilaga, la gente è sisposta a morire in piazza pur di partecipare a un moto di protesta e liberazione. Giù il cappello. Gli esperti ne hanno già sbagliate così tante, di previsioni. Il desiderio di veder cadere nella polvere i tiranni e di vivere in una società aperta, sottratta all’arbitrio e alla corruzione, sono sentimenti contagiosi, oltre che nobili. Non so se ce la faranno, ma i democratici siriani meritano tutta la nostra ammirazione. Io penso a Damasco e a Aleppo come città familiari, sogno di farvi ritorno in un Medio Oriente diverso e migliore.