Cesare Geronzi ha attraversato l’establishment finanziario italiano da Capitalia a Mediobanca fino al vertice delle Generali senza creare mai valore per i suoi azionisti, ma presentandosi loro come un garante di buoni rapporti con il potere politico e le altre istituzioni che contano. In parte era vero, in parte millantava, cavandosela così alla grande. Ora che si dimette ingloriosamente dopo un solo anno di presidenza chiacchierona e chiacchierata dalle Generali, dovrebbero guardarsi allo specchio tutti coloro che lo sponsorizzarono, e lo votarono all’unanimità, nel 2010. La figuraccia è condivisa, come la sanzione certificata di un sistema che ha logorato le sue antiche compatibilità. La storia di Profumo è molto diversa da quella di Geronzi, per certi versi opposta. Ma due big che saltano così uno dopo l’altro anticipano la caduta di altri birilli. E i nuovi aspiranti Geronzi, primo fra tutti il cumulatore di incarichi Fabrizio Palenzona, dovranno fare i conti col malfunzionamento dell’economia di relazione, sia pure nella nuova versione dirigista cui aspira Tremonti.