Carlin Petrini sul “Barabba”

martedì, 26 aprile 2011

Il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, ha scritto il 3 aprile 2011 sulle pagine piemontesi di “La Repubblica” questo articolo dedicato alla nostra cantina. Lo ringraziamo molto.
Montaldo Cerrina è un posto lontano da tutto, anche per un piemontese. È in provincia di Alessandria, incuneato in una zona che non è semplice raggiungere da nessuna delle principali città della nostra regione. Questa è la sua debolezza, ma anche la sua forza. Qui, infatti, il tempo pare essersi fermato. Le colline, molto boscose, sono rimaste intatte. Il paesino, fatta eccezione per quattro ville disegnate da qualche architetto o geometra dalla vena particolarmente creativa, pare uscito da una vecchia cartolina degli anni Cinquanta. Una sola strada lo attraversa perdendosi nelle campagne e nelle sparute vigne che hanno resistito all’abbandono post bellico.
Qui fino al 2005 esisteva una di quelle osterie la cui presenza ti ripagava del lungo viaggio. Un locale che era bello frequentare magari in una domenica piovosa e svogliata: ti sedevi e ti pareva di stare a casa tua, tanto si respirava un’atmosfera familiare e i piatti parlavano di territorio. Si chiamava “Universo”, un nome buffo per questo luogo che però nascondeva una sottile verità: una trattoria che ti faceva scoprire un universo di sapori e di profumi di questa zona franca, che non è più Monferrato, ma non è ancora la pianura delle vicine risaie. La gestione era in mano a una donna tenace, Maria Molino, che preparava la rollata di coniglio come poche altre persone in Piemonte: delicata e morbida. E che dire della lepre che veniva proposta quando la caccia del marito aveva dato i suoi frutti?
Anche gli amanti del vino buono non rimanevano delusi, venivano serviti i prodotti di quella che allora era una piccola e semisconosciuta cooperativa: la Cavimon. Nata nei primi anni Duemila grazie all’iniziativa del giovane figlio di Maria, Fabrizio Iuli: “All’inizio si trattava di un esperimento. La nostra prima vendemmia è del 1998 – racconta Fabrizio – potevo contare su alcuni vigneti di famiglia e altri che avevo preso in gestione o acquistato”.
Nel 2001 nella cooperativa entra un socio che a prima vista potrebbe apparire ingombrante, il giornalista Gad Lerner. Devo dire che in questo frangente ho apprezzato il suo approccio soft. Spesso mi è accaduto di assistere al vip di turno che decide di mettersi a fare il vino. Di solito comincia a investire in pubbliche relazioni, in consulenti enologi di grido, in cantine faraoniche, scordandosi spesso e volentieri di occuparsi delle vigne. Con Lerner tutto questo non è accaduto, e Fabrizio ce lo conferma con molta onestà: “Gad fin da subito ha creduto nel mio lavoro, non ha voluto stravolgere quanto si stava facendo, ha deciso di rinnovare e modernizzare il vigneto vicino alla casa delle sue vacanze e me lo ha fatto gestire dal punto di vista agronomico”.
Anche la scelta della forma societaria, la cooperativa, affonda le sue radici negli ideali degli animatori di questo bel progetto. Nel loro caso, parlare di forma societaria fa un po’ sorridere, perché qui pare regnare un’anarchia creativa, con il tuttofare Fabrizio che è l’evidente motore del gruppo. Le scelte effettuate in vigna e in cantina sono sempre state molto coraggiose. Tra i filari si fa agricoltura biologica e si rispettano gli ecosistemi. Qui la terra è bianca, indice di una forte presenza di calcare: “Le nostre Barbere – dice Fabrizio – non difettano certo quanto ad acidità e sapidità, ma questo è il loro carattere. Non abbiamo paura di proporre vini dalla personalità forte, siamo convinti che esistano tanti appassionati e intenditori che ricercano vini dalla ricca espressione territoriale. Tra le botti non si seguono le scorciatoie. Però, questo tengo a sottolinearlo, sono sempre molto corretti dal punto di vista dei profumi, tanto per capirci non stiamo parlando di vini biologici che puzzano”.
Questo mi piace di Iuli, i suoi vini non gridano, non sono nati per impressionare, ma piuttosto per farsi apprezzare nel tempo. Non per nulla assisteremo a una di quelle che alcuni consulenti commerciali definirebbero una pura pazzia. Nel 2014 usciranno alcuni magnum di Barbera che in etichetta riportano l’annata 2004: “Non si tratta di presunzione. Non siamo impazziti del tutto – ci rassicura Fabrizio – piuttosto riteniamo che la barbera, vitigno principe di queste colline, abbia potenzialità non ancora del tutto espresse, soprattutto nelle annate del secolo come la 2004?.
In attesa di bere questo portento ci si può “accontentare” della Barbera Umberta (che porta il nome della moglie di Gad) o della splendida Barabba. “L’abbiamo chiamata in questo modo singolare, perché da sempre Barabba è sinonimo di scelta sbagliata e di errore madornale. Ci piacerebbe dare alla nostra zona una seconda possibilità. Noi siamo fortunati perché siamo nati in Piemonte, la terra dei più grandi vini italiani, ma qui a Cerrina non siamo nel Piemonte che conta, siamo in quello di serie B”.
Barabba è il simbolo di un Piemonte che anche nei territori vinicoli marginali sa regalare prodotti di assoluto successo, che vengono apprezzati, e anche molto, su mercati esigenti come quello americano. E visto che a Fabrizio, a sua sorella Cristina e ai Lerner (oltre a Gad e Umberta, troviamo anche il fratello Dan) piacciono le sfide complicate, ecco che sulle colline di Montaldo Cerrina coltivano sua maestà il pinot noir. Un’eresia per qualche monomaniaco della Borgogna, un’ennesima missione impossibile per questa cooperativa anarchica.
Nel raccontare la storia di Fabrizio e del suo sogno spero che si sia capito come mai la guida Slow Wine 2011 abbia deciso di attribuire la Chiocciola a questa piccola realtà monferrina. Tra qualche giorno partirà il carrozzone del Vinitaly, Iuli e la sua cantina saranno tra i protagonisti di questa grande fiera internazionale. Ci sarà anche Slow Food, naturalmente, con le sue novità editoriali, tra le quali spiccheranno le nuove edizioni del “Piacere del Vino” (manuale per imparare a bere meglio) e “Vitigni d’Italia”.
Carlo Petrini

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