Malick: Scintille di Qabbalah al cinema

martedì, 24 maggio 2011

Questo articolo è uscito su Vanity Fair.
“The tree of life”, il film di Terrence Malick che ha vinto la Palma d’oro a Cannes, sta producendo un effetto duraturo nella mia vita quotidiana. Flash notturni, reminiscenze, citazioni esplicite nell’esercizio della mia paternità che sono chiamato a confrontare con la vicenda di un impareggiabile Brad Pitt: avverato come uomo, non più solo attore, dal talento di un regista-filosofo.
Eviterò di avventurarmi in un giudizio sul film del momento, che da solo avrei capito ben poco non ci fossero stati a spiegarmelo i chiarimenti di Umberta sulla trama, e più ancora le sue lacrime di madre nel riviverne la fatica esistenziale. Mi limito a notare quel che il cinema di qualità contemporaneo sta cercando, insieme a noi tutti; dagli interrogativi sul destino dei fratelli Cohen (“A serious man”) a quelli sulla morte del vecchio Clint Eastwood (“Hereafter”). Interrogativi sul senso della vita, sulle sue origini, sulle relazioni fondamentali del nostro essere, che la mia generazione per prima si è abituata a porsi attraverso immagini in movimento create da altri; a partire da “Fantasia” di Walt Disney, col suo goethiano apprendista stregone Topolino e con la Genesi musicata da Stravinskij.
In sintesi: se Terrence Malick conquista l’animo di tanti fra noi –e altri viceversa ne annoia- è grazie alla sua ricerca filosofica di cui il film è uno strumento. Quella famiglia texana sottoposta al trauma della perdita del suo figlio-cardine di sensibilità, e chiamata dunque a riverificare le certezze ultime in cui, pur soffrendo, restava accomodata, noi la scrutiamo con indiscrezione, quasi fossero cavie nelle quali immedesimarci.
Qui ci soccorre non tanto il perfezionismo quanto l’impianto speculativo del regista-filosofo. Malick non a caso ha studiato la Qabbalah ebraica per realizzare questo film cristiano. E’ nel medievale “Zohar”, il “Libro dello splendore”, che si trova l’Albero della vita, diramato in dieci Sephirot che ne codificano gli attributi. Da secoli e secoli l’umanità introspettiva gira intorno a quell’albero. Ora, con il cinema, può osare l’esperienza mistica di guardarlo, dentro e attraverso. Ma non pensate che sia un’esperienza per tipi strani, da voi lontana.
Non appena le circostanze –accade sempre, prima o poi, nella vita- vi costringano ad ammettere che siamo fatti di spiegabile e di inspiegabile, di componenti razionali e di misteriosa relazione col trascendente, beh, allora è il momento: toccano pure a voi quei balzi nell’inconscio, il sogno notturno che vi condiziona la veglia, la presenza incombente di qualcuno perduto troppo presto, l’inconsapevolezza macerata in nevrosi.
Personalmente non avrei potuto dare forma alla storia delle anime vagabonde di una famiglia lacerata come la mia, nel libro “Scintille”, senza lo strumento ordinatore fornito dai codici della Qabbalah. Ma cos’altro è il film di Malick, se non il vorticoso girovagare d’anime che scontrandosi producono scintille –proprio come narrano i mistici capaci di guardare oltre il proprio sè- e cercano d’impregnarsi l’una dell’altra, di ricongiungersi, per lo meno di comprendersi. Le rughe di Jack-Sean Penn, divenuto adulto, ma sempre alle prese con quel padre troppo duro e quella madre troppo dolce, segnano non l’assenza, ma la tormentosa presenza in lui del fratello, impossibile da rinchiudere nell’aldilà.
Viviamo tempi di grandi domande e ammiriamo i coraggiosi come Malick che per lo meno le scrutano.

P.S. Stagione elettrica, imminente passaggio decisivo nella politica italiana. Spero che accada il giusto e l’atteso. Ne scriverò a cose fatte.

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