Quattro Sì al Referendum

mercoledì, 8 giugno 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Prima di lamentarvi del prossimo fine settimana elettorale che tocca di nuovo agli italiani per la terza volta in meno di un mese, almeno ricordatevi a chi dobbiamo un tale evitabilissimo spreco, e per quale (ignobile) motivo ce lo impongono.
I quattro referendum sulle centrali nucleari, sull’acqua pubblica e sul legittimo impedimento delle alte cariche dello Stato –tutti argomenti di grande rilievo, sui quali è più che opportuno un pronunciamento del popolo- si sarebbero potuti tenere benissimo in abbinamento col primo turno o col ballottaggio delle amministrative. Anzi, ci sarebbe stato un risparmio come minimo di 300 milioni a vantaggio dei conti pubblici, che di questi tempi si potevano davvero spendere meglio.
Il mancato abbinamento dei quattro referendum alle elezioni amministrative è stato deciso dal governo Berlusconi, disposto a sperperare denaro pubblico, all’unico scopo di scongiurare il conseguimento del quorum minimo richiesto di partecipanti: la metà degli aventi diritto, più uno. Un po’ più di 25 milioni di elettori. Il governo temeva cioè che la coincidenza fra elezioni amministrative e referendum favorisse una elevata partecipazione al voto, da cui voleva proteggersi.
Riguardo al quesito sull’energia nucleare (scheda grigia) è stato tentata una truffa ulteriore, sventata da una sentenza della Cassazione. In pratica si pretendeva l’annullamento del referendum solo perché in un emendamento al “decreto omnibus”, in fretta e furia il Parlamento aveva rinviato le decisioni riguardo al piano di costruzione di centrali nucleari nel nostro paese. Volevano togliere con questo pretesto al popolo sovrano il diritto di pronunciarsi su una scelta che gli spetta costituzionalmente. E ciò negli stessi giorni in cui la cancelliera Angela Merkel annuncia la chiusura dell’ultimo reattore nucleare in Germania entro il 2022. Perché mai l’Italia dovrebbe cominciare quando la più avanzata economia d’Europa smette? E in ogni caso perché mai gli italiani dovrebbero lasciarsi scippare con la furbizia di un emendamento la possibilità di esprimersi su una scelta di tale rilevanza?
I due quesiti riguardanti la privatizzazione degli acquedotti (scheda rossa) e i profitti realizzabili sull’acqua (scheda gialla) sono l’esito di una campagna referendaria che ha coinvolto per nome e cognome più di un milione e quattrocentomila cittadini. Un record, nella storia repubblicana. Chiedono di abrogare le norme con cui il decreto Ronchi obbliga le società dell’acqua potabile ad aprirsi ai privati, delegando loro la gestione e stabilendo per loro una quota di profitti. Vogliono affermare il principio che l’acqua è un bene pubblico, non una roba da vendere e comprare.
Il quesito sul legittimo impedimento (scheda verde chiaro) è un messaggio inequivocabile rivolto al presidente del Consiglio che vorrebbe autocertificarsi il diritto di disertare i processi nei quali è coinvolto, profittando della sua carica. Già in parte depotenziata dalla Corte Costituzionale, questa “legge ad personam” indigna la maggioranza dei cittadini italiani. Per questo si voleva impedire loro un pronunciamento su di essa in tempi non balneari.
Avrete capito che domenica 12 giugno e lunedì 13 giugno prossimi io voterò quattro Sì. Mi auguro vi sia però anche un buon numero di No, vista la delicatezza dei quesiti. Soffia un vento di partecipazione democratica, sull’Italia. Chi ha pensato di calpestare la volontà popolare con il dolo, merita di essere ricambiato con un bel quorum.

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