Va in frantumi la destra carismatica

martedì, 14 giugno 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
E ora vada a raccontare le sue barzellette da un’altra parte. Fuori dai palazzi delle nostre istituzioni democratiche. Con i soldi che ha, troverà sempre qualcuno disposto a fingere di divertirsi. E qualche ragazza disposta a lasciargli credere di esserne sedotta.
Ci vorranno mesi, forse un anno, ma con il voto referendario del 13 giugno è l’impalcatura della destra italiana, carismatica e populista, ad andarsene in frantumi. Lo si era già capito alla vigilia, quando i più stretti collaboratori di Berlusconi si misero le mani fra i capelli per l’ennesima sua incontinenza: gli avevano raccomandato di non rendere pubblica la sua scelta di disertare l’appuntamento con le urne, consapevoli del fatto che ormai l’”effetto Berlusconi” funziona all’incontrario e dunque avrebbe sospinto altri cittadini a partecipare, pur di fargli dispetto.
La perdita del “tocco magico” segna inequivocabilmente il tramonto delle leadership fondate sulla seduzione. E difatti la vittoria dei Sì nelle regioni in cui più forte fu il consenso alla destra, conferma il rompete le righe in atto. Nei confronti del Pdl ma anche della Lega.
E’ cambiato lo spirito dei tempi. I contenuti dei referendum esaltano questo mutamento in materia energetica, ambientale e di legalità: il valore di “bene comune”, dentro una crisi economica che il governo ha minimizzato offendendo chi la stava pagando, ha ripreso il sopravvento sulla fobia di vedersi minacciati nella “proprietà privata”. Lo spauracchio del comunismo è apparso invecchiato come il suo propagatore.
Anche l’astuzia predisposta dal governo per neutralizzare l’insidia dei referendum –trasformarli in un costoso e inutile terzo turno elettorale, confidando sulla distrazione di massa pianificata dagli scandalosi telegiornali di regime- si è risolta in un boomerang. I risultati dirompenti delle elezioni amministrative, senza i quali di certo i referendum non avrebbero raggiunto il quorum, hanno eccitato le speranze di cambiamento nell’opinione pubblica. Che già aveva percepito questo cambiamento nel clima internazionale, soprattutto nelle rivolte mediterranee grazie alle quali hanno perso il potere dei tiranni in apparenza inamovibili.
Nel nostro piccolo, ce n’eravamo accorti a La7 già all’inizio del 2011, quando i nostri programmi televisivi hanno conosciuto un’impennata di ascolti senza precedenti: un vero e proprio flusso di pubblico che si distaccava dall’informazione censurata di Rai e Mediaset (premiando i pochi spazi critici della rete pubblica, non a caso sottoposti a tentativi maldestri di epurazione). Anche nella tv i cittadini andavano in cerca di un’alternativa.
Non succedeva da anni di sentire tanta gente appassionarsi, discutere di politica con i vicini di casa, manifestare la propria indignazione per la disonestà dei potenti, prendersi cura delle scelte pubbliche. Un fenomeno di partecipazione civica che non aspettava certo le strutture anchilosate dei partiti di centrosinistra per manifestarsi, e anzi le travolgeva con scelte imprevedibili dai vertici della politica. Lo stesso Partito democratico non credeva nell’effetto dirompente dei referendum promossi da strutture di base, prima del terremoto delle amministrative.
Oggi è di un’evidenza plateale che il governo in carica è minoranza nel paese. Conquistò un’ampia rappresentanza parlamentare, nel 2008, grazie a 17 milioni di voti e al premio di maggioranza. Ha dissipato quel patrimonio per incapacità di armonizzare le proprie differenze e ora che il carisma di Berlusconi tramonta rischia di frantumarsi in numerosi spezzoni clientelari. Risultato: i Sì ai referendum del 2011 sono molto più numerosi dei voti ottenuti dal centrodestra tre anni fa.

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