Perchè la televisione è invecchiata di colpo

mercoledì, 29 giugno 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Nel breve volgere di un anno la televisione generalista italiana risulta di colpo invecchiata, quasi decrepita. Sia la Rai che Mediaset appaiono infettate dalla crisi del berlusconismo da cui sono state, con modalità diverse, entrambe permeate. Se la televisione pubblica ha visto esasperarsi le lacerazioni interne, manifestarsi censure grossolane, e soffre di un’evidente crisi di governance culminata nell’ingloriosa fuoriuscita del direttore generale Mauro Masi eterodiretto da Luigi Bisignani, il logoramento di Mediaset presenta caratteristiche di natura diversa.
Il colosso commerciale patisce infatti la sua estraneità allo “spirito dei tempi”. I modelli edonistici di cui è portatrice Mediaset, i desideri consumistici e le aspirazioni di felicità da essa veicolati, perfino il senso dell’umorismo e il linguaggio corrente che i suoi programmi trasmettono, hanno subito un logoramento accelerato dalla crisi economica e dall’evoluzione dei consumi. E’ cambiato il senso comune anche in materia di eleganza e, ciò che conta di più, è cambiata la morale pubblica. Vorrà dire qualcosa, per fare un piccolo esempio, la rinuncia al concorso estivo delle veline su Canale 5 in un paese che ha vissuto come un’offesa non più sopportabile l’ideologia del “bunga bunga”.
La percezione diffusa di un potere berlusconiano declinante potrà forse indurre la proprietà di Mediaset a scelte fino ad oggi impensabili, come la cessione a investitori stranieri di un network che difficilmente conserverà lo stesso valore economico quando il suo azionista non siederà più alla guida del governo. Ma queste sono supposizioni che lasciano il tempo che trovano. Più interessante è rilevare come il colosso commerciale, tuttora capace di macinare utili nonostante la perdita di audience, soffra per la prima volta dalla sua nascita di un problema d’inattualità non rimediabile con qualche adeguamento in corsa.
Chi ha intercettato il cosiddetto “vento del cambiamento” che soffia ben oltre i confini italiani, come ben si sa, è anzitutto la ormai capillare rete di internet ma, restando nel campo della tv generalista, sta capitando a La7 di trovarsi sulla cresta dell’onda.
Io che ci lavoro dalla sua nascita, dieci anni fa, osservo il fenomeno con prudente soddisfazione. Non mi illudo che il mutare dei gusti del pubblico determini sconquassi ravvicinati in un sistema monopolistico dotato di argini solidissimi. So bene che il flusso costante di telespettatori verso una televisione diversa per linguaggio, profilo culturale, indipendenza dal potere politico, è ancora un fenomeno minoritario. Ma stiamo parlando di milioni di persone che stanno mutando abitudini, in cerca di soddisfare la loro domanda di relazione con una contemporaneità difficile. In cerca di cultura, troppo a lungo mortificata: basti pensare allo straordinario successo conseguito da un artista che non liscia il pelo al pubblico, come Marco Paolini.
Oggi do il benvenuto a Roberto Saviano e (in comproprietà con Raitre) a Fabio Fazio, dopo che Enrico Mentana ha riaffermato a La7 la centralità del racconto delle notizie senza censure e reticenze. Così come spero arrivi Michele Santoro e, con lui, diversi talenti altrove mortificati. Ma vorrei dire a chi mi legge che l’improvviso fluidificarsi dei movimenti da una tv all’altra solo in apparenza può venire assimilato al mercato dei calciatori. Segnala una tendenza molto più profonda, il bisogno di trovare nuove vie di comunicazione e perfino un nuovo senso al nostro stare insieme. Quando cambia l’immaginario collettivo, gli addomesticatori dello status quo si ritrovano all’improvviso obsoleti.

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