Israele e la rivolta araba

martedì, 5 luglio 2011

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
Lo scorso 19 giugno a Parigi ho partecipato alla prima conferenza europea di J Call, un’associazione di ebrei cittadini dell’Unione che intendono manifestare il loro naturale attaccamento alle sorti dello Stato d’Israele esercitando una critica pubblica alla politica isolazionista del governo Netanyahu.
La destra che governa lo Stato ebraico è difatti entrata in rotta di collisione perfino con il suo principale alleato, gli Stati Uniti d’America. E’ desolante vederla scommettere sul fallimento delle aperture di Obama, che investe tutta la sua credibilità nel sostegno alle rivolte arabe per la democrazia. Una malintesa concezione della realpolitik ha già portato Netanyahu a sostenere fino all’ultimo Mubarak contro i giovani in lotta per la libertà e la democrazia. Un rovesciamento degli insegnamenti fondamentali dell’ebraismo, che fin dal Libro dell’Esodo ci sollecita a immedesimarci negli schiavi, non certo nei faraoni.
Dentro a una situazione tumultuosa e instabile come quella che stiamo vivendo in tutta l’area mediterranea, e fino al Golfo, risulta davvero temerario affidare la sicurezza d’Israele alla tenuta della dinastia saudita e degli altri regimi autoritari che opprimono i loro popoli. Si esaspera così una contraddizione antistorica: come può Israele compiacersi ancora di essere l’unica democrazia del Medio Oriente, e nel frattempo vivere come una minaccia, anziché un’opportunità, il processo democratico avviatosi fra mille difficoltà per opera di una gioventù povera ma scolarizzata, senza lavoro ma informata, riunita ben oltre la logica dei clan e dell’oscurantismo integralista?
Già la miopia di Netanyahu e le inutili provocazioni dei suoi ministri più estremisti hanno compromesso l’alleanza strategica con un attore regionale di cruciale importanza, qual è la Turchia. L’impressione è che la politica di una destra terrorizzata dalla crisi demografica e capace di confidare solo nell’uso della forza per guadagnare tempo, sia condannata purtroppo alla subalternità nei confronti della minoranza organizzata dai coloni. Invano il suo leader storico, Ariel Sharon, provocò la scissione del Likud pur di emancipare la classe politica conservatrice dal ricatto degli insediamenti in terra palestinese, che pure lui stesso aveva sciaguratamente promosso.
Il risultato è che Israele viene oggi guidato in una temeraria contrapposizione al vento della storia. Se per oltre un secolo il sionismo politico ha saputo conquistare sostegni internazionali collocandosi, pur fra errori e contraddizioni, nel filone del progresso, della libertà e della democrazia, oggi rischia di rinchiudersi in una logica settaria.
J Call intende esercitare un’offensiva di persuasione, collaborando con le istituzioni comunitarie dell’unione europea, per mettere il governo Netanyahu di fronte alle sue responsabilità. Ma il vero tentativo è quello di favorire un ricambio nella classe dirigente israeliana, in sintonia col vento di cambiamento che scuote il Mediterraneo.

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