Da Penati mi aspetto una scelta di chiarezza

mercoledì, 20 luglio 2011

Nel 2004 partecipai con convinzione alla campagna vittoriosa che portò Filippo Penati alla presidenza della Provincia di Milano. Ho avuto invece molto da ridire sul modo in cui Penati rivestì il suo incarico, e soprattutto sulla fisionomia della sua leadership, a mio parere consociativa e subalterna culturalmente a un malinteso nordismo securitario. Abbiamo avuto polemiche pubbliche, nel corso delle quali l’ho definito portavoce di una sorta di “leghismo di sinistra”, come tale nocivo e perdente. Per questo, quando cinque anni dopo si è ricandidato senza riuscire a ottenere il reincarico, non me la sono sentita più di attivarmi al suo fianco. Così come ho considerato infelice lo schieramento del Pd milanese da lui caldeggiato nelle primarie del centrosinistra vinte da Giuliano Pisapia.
Ciò detto, non ho mai sospettato minimamente che la condotta politica di Penati potesse essere dettata da interessi personali. Fino a prova contraria, non ho motivi di dubitare della sua onestà, pur nella diversità di concezioni politiche. Oggi che viene sottoposto a un’indagine della magistratura per concussione, corruzione e finanziamento illecito dei partiti, credo sia doveroso sospendere il giudizio. Ma ciò non basta. Penati deve spiegare al più presto, con la massima trasparenza e senza attendere le contestazioni dei magistrati, il suo operato al tempo in cui era sindaco di Sesto San Giovanni e gestiva la destinazione delle aree industriali dismesse. Lo deve alla sua biografia, lo deve al partito in cui Bersani gli assegnò incarichi di direzione nazionale, lo deve alla cittadinanza nauseata dal malgoverno affaristico del centrodestra lombardo. Comprendo che ciò possa risultargli doloroso, ma la sua stessa sensibilità credo dovrebbe indurre Penati a lasciare -in attesa di un chiarimento definitivo- l’incarico istituzionale di vicepresidente del Consiglio regionale lombardo.

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