Questo pomeriggio al Palazzo Ducale di Mantova, nel Cortile della Cavallerizza, ore 15, discuterò con Tahar Lamri e Paola Caridi sul tema: “Lezioni dal secondo risveglio arabo“.
Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
Ora che la crisi ci accomuna nel timore dell’astrusa parola “default”, che poi significa né più né meno la bancarotta di uno Stato in cui pochi continuano a credere, noi italiani constatiamo di assomigliare ai greci più di quanto i mass media ci raccontassero. Dicevano pure che gli spagnoli stanno peggio di noi, il che probabilmente è vero, ma allora come mai i loro titoli obbligazionari pubblici sono quotati sul mercato meno peggio dei nostri? E soprattutto: chi saranno i più indignados l’autunno che viene, fra Atene, Madrid e Roma? Siamo sicuri che la riprovevole sommossa feticistica degli sfasciavetrine esplosa nel frattempo in Inghilterra sia una forma di conflitto sociale molto diversa da quelle manifestatesi nella regione mediterranea del medesimo continente.
I giovani latini saranno poi così diversi nella rabbia dai coetanei nipoti del Commonwealth?
Lo so che sembra un gioco di parole, ma voglio spostarmi più a sud, sull’altra sponda del mare, dove gli israeliani accampati sulla strada Rotschild di Tel Aviv per protestare contro il caro-affitti e le paghe da fame nei servizi pubblici, gridavano una rima assai significativa: “Tahrir lo rak be Kahir”. Ovverosia: c’è una piazza Tahrir per mobilitarsi in permanenza anche qui, non solo al Cairo. Vi ci sono riunite, in effetti, personalità fra loro diversissime, sino a ieri considerate inconciliabili. I più scapestrati giovani alternativi insieme ai religiosi, i russi dell’ultima immigrazione assieme agli orientali sefarditi. Le tribù si dissolvono messe a contatto col calore incandescente della sofferenza sociale. E danno luogo così a movimenti inaspettati: vi avevo raccontato la volta scorsa una riunione parigina degli ebrei di sinistra riuniti nell’associazione “J call”, un po’ desolati perché nella società israeliana non si trovava una risposta all’altezza del cambiamento storico determinatosi con le rivolte arabe. Eccoci serviti, senza che nessuno osasse prevederlo. Un sommovimento partito su internet per criticare l’ingiustificato aumento di prezzo del formaggio-base ha preso le forme di una sfida per la giustizia sociale che si riconosce parte delle varie piazze Tahrir circostanti, non importa se arabe, ebraiche o greche, spagnole, inglesi…
Questa, insisto, è la vera novità, che rende assai promettente lo sviluppo degli avvenimenti pure laddove incombe la tragedia della repressione sanguinaria, come in Siria: nella protesta si dissolvono le tribù del passato, contano meno le etnie e le confessioni religiose. La speranza del cambiamento nell’autunno 2011 accomuna i diversi. Che differenza, rispetto all’esasperazione identitaria seguita agli attentati dell’11 settembre 2001!