Il braccio di ferro in corso nell’establishment italiano sul futuro Governatore della Banca d’Italia è pieno di non detti velenosi e riguarda innanzitutto la figura di Mario Draghi, che dal 1 novembre assumerà la guida della Banca Centrale Europea. Si tratta di un grand commis dello Stato italiano che ha consolidato nel tempo la sua leadership grazie alla credibilità (e agli appoggi) di cui gode a livello internazionale. Gli è ostile una destra populista convinta, non a torto, di trovare in Draghi il portavoce di un capitalismo occidentale molto critico nei suoi confronti. La grossolanità di Bossi nel preferire Vittorio Grilli a Fabrizio Saccomanni, in quanto il primo è milanese, fa cascare le braccia ma sottintende la diffidenza leghista e tremontiana nei confronti di un uomo come Saccomanni, considerato “troppo vicino” a Draghi. Ma le cose non sono così semplici: anche una parte significativa dei banchieri italiani ha sofferto in silenzio negli anni in cui Draghi ha guidato la Banca d’Italia e, senza farsi troppo notare, preferirebbe quindi la discontinuità garantita dalla soluzione Grilli. La pubblicazione sul “Corriere della Sera” della durissima lettera d’agosto firmata insieme da Claude Trichet e Mario Draghi per imporre al governo italiano un intervento drastico sul debito pubblico, drammatizza questa frattura. Fino a che punto la destra al governo è disposta a adeguarsi al dettato dell’establishment europeo e statunitense? La tentazione è quella di emanciparsi dal diktat impersonato da Draghi, ma il rischio è con ciò di isolarsi ulteriormente e accelerare la sua fine. Dubito che Berlusconi voglia osare una rottura dal suo punto di vista temeraria.
Il braccio di ferro è su Mario Draghi
giovedì, 29 settembre 2011
Si parla di: Banca d'Italia, Claude Trichet, Fabrizio Saccomanni, Mario Draghi, Umberto Bossi, Vittorio Grilli