Ieri sera Arturo Parisi è stato molto spiritoso all’Infedele. Il Pd ha sostenuto il referendum? Risposta: “I democratici sì, tantissimo. Il segretario pure. Ma dopo”. Mentre continuano ad affluire decine di migliaia di firme in aggiunta al milione e duecentomila consegnate in Cassazione, è doveroso chiedersi perchè il segretario del partito ha cercato in tutti i modi, nel luglio scorso, di bloccare questa mobilitazione. La risposta è politica: Bersani riteneva controproducente la raccolta delle firme in quanto intralciava la sua ricerca di alleanza con l’Udc di Casini, per sua natura nemico del sistema maggioritario e favorevole al proporzionale. Aspirando a tenere insieme tutte le anime di un partito diviso, Bersani si è condannato alla paralisi. Inutile che se la prenda con chi invece si è dato da fare.
La seconda vicenda che sta incrinando la leadership di Bersani è lo scandalo milanese/sestese in cui è coinvolto il suo ex braccio destro Filippo Penati. Inutile girarci intorno. Per quanto si sforzi di diffidare chi gli chiede chiarezza sul rapporto intercorso fra politica e affari nel gruppo dirigente dalemiano di cui è stato fra i massimi esponenti, il segretario del Pd sa che tale vicenda imporrebbe un discorso di verità. Al quale si sottrae. Pensare di cavarsela con un richiamo disciplinare al gruppo dirigente, è una pia illusione. Oggi “L’Unità” titola: “Guai a chi azzoppa il Pd”. Mi sembra uno slogan antiquato. Non so se Bersani oggi sia zoppo, ma nel caso si è azzoppato da solo.