Se Israele e Hamas si parlano tra di loro

martedì, 18 ottobre 2011

Uno scambio di prigionieri è sempre motivo di sollievo e speranza. Attendo col fiato sospeso la conferma del buon esito della delicatissima procedura che nelle prossime ore dovrebbe riportare libero in Israele il caporale Gilad Shalit, in cambio di centinaia di detenuti palestinesi. Ho accolto con sollievo la decisione (certamente dolorosa) della Corte Suprema di Gerusalemme che ha respinto quattro ricorsi di parenti delle vittime di attentati terroristici. Uno Stato, ma più in generale una comunità, non deve mai essere imprigionato nel ruolo di portavoce o rappresentante delle vittime; altrimenti questo imperativo morale sovrastante gli impedirà di perseguire i compromessi necessari alla pace. Politicamente, trovo significativo che dei leader paralizzati nel loro schematismo che li ha condotti fino all’isolamento sulla scena internazionale -parlo dei governanti di destra in Israele, e della leadership di Hamas- alla fine abbiano scelto entrambi di dialogare pur di uscire dall’angolo. Non mi faccio illusioni, ma i propagandisti che dalle nostre parti, lontano dal conflitto, strepitano sempre “con i terroristi non si parla”, adesso sono richiesti di maggior cautela.

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