Te la dò io la “frustata” all’economia!

mercoledì, 2 novembre 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Divorato da un narcisismo che purtroppo ne obnubila la lucidità, ormai Giuliano Ferrara non fa che ripubblicare sul suo “Foglio” una lettera firmata Silvio Berlusconi, ma inequivocabilmente da lui stesso vergata, edita per la prima volta undici mesi fa sul “Corriere della Sera”. Vi si annunciava, nientemeno, una “frustata” per l’economia italiana, tale da sospingerla nella crescita e nello sviluppo dopo un decennio d’immobilità.
Nel transfert parossistico con cui Ferrara si adopera per impregnare di sé il proprio Berlusconi ideale, vediamo il tycoon esperto in abuso di posizione dominante e in legislazioni tagliate su misura trasfigurato d’emblée in veste di sacerdote del neoliberismo. Il vetusto rais spalmato di cipria e tintura, nell’amorevole fantasia del ghostwriter diviene espressione dello spirito animale del capitalismo, provvidenzialmente calata nel paese delle corporazioni confindustriali e sindacali, dei lacci e dei lacciuoli, per liberarci infine dalla gabbia del declinismo.
Patetica risuona, negli editoriali dei sostenitori, la speranza che ritorni il “vero Berlusconi”. Quello che li incantò, e li beneficiò, perché del Berlusconi attuale si vergognano anch’essi.
Undici mesi fa, quando Ferrara annunciò la “frustata” in arrivo dal suo Cavaliere, i risparmiatori investivano ancora senza paura nei Titoli di Stato italiani, sicché rimaneva basso il loro tasso d’interesse, nonostante fosse già a tutti nota l’ampiezza del nostro debito pubblico.
La diffidenza iniziò a serpeggiare in tarda primavera. In un contesto di grave turbolenza dei mercati, gli investitori hanno cominciato a diffidare dell’Italia e quindi a pretendere interessi sempre più elevati per l’acquisto dei nostri Titoli di Stato. A nulla hanno valso gli annunci dell’improbabile “frustata”; anche perché il ministro Tremonti rettificava subito che non l’avrebbe finanziata, dovendo mantenere i conti in equilibrio sull’orlo del baratro. Quando poi si sono fatte minacciose le sollecitazioni a prendere provvedimenti cautelativi da Francoforte o da Bruxelles, l’inconsistenza della nostra leadership politica ha dato luogo a convulsioni, balbettii, retromarce che hanno acuito la sfiducia.
In questa legislatura, lo sanno tutti, non verrà approvata nessuna riforma delle pensioni nè del mercato del lavoro, figuriamoci la riforma fiscale. Il direttorio europeo Merkel-Sarkozy ha fatto finta di prendere per buona la lettera d’intenti del governo italiano perché l’alternativa sarebbe troppo pericolosa per la stabilità finanziaria dell’Unione. Ed è su questo patema d’animo, non certo sull’ispirazione neoliberista del suo ghostwriter, che confida il giocatore Berlusconi: potrò anche essere detestato e disprezzato, ma finché in Italia non ci sono alternative al mio governo, i banchieri e i capi di governo occidentali saranno costretti a sostenermi. Un calcolo banale, di sopravvivenza personale.
Nel frattempo non ci sarà nessuna crescita italiana per merito della letterina d’intenti spedita a Bruxelles; bensì recessione negli anni a venire. La sfiducia dei mercati è destinata a salire, come dimostra il superamento della soglia record del 6% nell’ultima asta dei Btp. La facilitazione dei licenziamenti nelle imprese con più di 15 dipendenti (se attuata) provocherà un aumento della disoccupazione, non certo degli investimenti.
E pazienza se i banchieri inglesi continuano a calcolare che eventuali dimissioni di Berlusconi comporterebbero per l’Italia un beneficio immediato di 200 punti di spread. A lui cosa volete che gliene importi?

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