Silvio B. dalla Carlucci a Christine Lagarde

mercoledì, 9 novembre 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Il lungo addio di Berlusconi, iniziato più di un anno fa, si consuma in mezzo al fango, e stavolta purtroppo non è solo una metafora l’Italia che si sfascia. Non so, al momento in cui scrivo, se lunedì 7 novembre 2011 verrà ricordato come la giornata in cui diciassette anni dopo finisce il ciclo berlusconiano, lasciando un paese molto peggiore di quello che da lui si lasciò ammaliare nel 1994, o se invece l’epilogo debba ancora venire per certificazione parlamentare. Ma poco importa, stavolta è finita davvero. E speriamo si accompagni alla fine del diluvio universale che stiamo vivendo, anche se ad annunciarcela non viene una colomba col ramoscello d’ulivo nel becco, ma più modestamente una Gabriella Carlucci transfuga. Come sarebbe lieto il giorno in cui l’Udc o qualsiasi altro partito, di fronte alla profferta d’adesione di un simile personaggio, sapesse risponderle no grazie, cerchi altrove il suo futuro ma non più in politica… Tant’è, questa è l’ora dei tradimenti e delle meschinità. Naturale che ricadano anche su chi ha scelto di selezionare una classe politica con criteri tanto distanti dal merito, allorquando in disgrazia ci finisce lui.
La coincidenza più significativa è anche la più difficile da commentare: cadono entrambi i governi dei paesi messi sotto sorveglianza dagli organismi finanziari sovranazionali, all’indomani del G20 di Cannes: Grecia e Italia. No, di certo non è un caso. Un ricambio di governo era già avvenuto in Irlanda, Portogallo, Spagna, cioè le altre nazioni costrette a ricorrere a sostegni da parte della Bce o del Fondo monetario. Con la Grecia e soprattutto con l’Italia è stato più difficile, ma l’imperativo proveniente dall’alto –il ricambio di leadership- è stato determinante. Non dimenticheremo la voce stentorea con cui Christine Lagarde, una francese da una vita di casa a New York, dopo che il Fmi da lei diretto ha ottenuto nuovi poteri di contrasto nella bufera dei debiti sovrani, ha dichiarato: “L’Italia ha un problema di credibilità”. Noi che denunciamo da anni, dapprima derisi e inascoltati, la misoginia catastrofica di Berlusconi, possiamo riconoscere il significato di nemesi storica al fatto che tale “de profundis” sia stato pronunciato da una donna. Ma poi dobbiamo fare i conti con la drammatica circostanza di una finanza che rischia di mangiarsi la democrazia. Ha costretto Papandreou in Grecia a rimangiarsi un referendum popolare sulle ricette amare concordate con l’Ue, e poi a cedere il passo a un governo di unità nazionale. Non molto diverso è il percorso delineato “dall’alto” per l’Italia. Si badi bene, il fallimento del governo Berlusconi era già conclamato, e la sua sintonia col paese un lontano ricordo come dimostra la gaffe sui “ristoranti pieni” (come la regina Maria Antonietta di Francia: “Il popolo si lamenta che non c’è pane? Diamogli delle brioches”). Ma di certo ci avrebbe messo di più a cadere, senza questa spinta venuta dall’establishment internazionale, sempre più brutale, fino al titolo del “Financial Times”: “In nome di Dio, vattene!”.
Il minimo è pretendere che si attui una veloce riforma elettorale –bastano poche settimane per abrogare il “porcellum” e ripristinare il sistema dei collegi uninominali precedente- prima di andare al voto. Qualunque soluzione transitoria sarà comunque meno nociva della coppia Berlusconi-Tremonti alla guida del paese. In molti dovranno andarsene a casa, purtroppo sarà difficile recuperare il bottino. L’Italia deve fronteggiare l’incognita di una crisi economica senza precedenti. Il tempo dei “reality show” è finito.

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