Un articolo di Alessandro Penati

lunedì, 14 novembre 2011

Sabato 12 novembre 2011 su “La Repubblica” il professor Alessandro Penati mi ha gentilmente chiamato in causa con questo articolo, intitolato “Quando la politica vince sulla finanza”, al quale replicherò nei prossimi giorni.
«FINO a che punto le regole dell’ economia mondiale sono compatibili con l’ esercizio della democrazia?», si è domandato Gad Lerner (Repubblica, 3/11), sull’ onda delle reazioni al referendum greco proposto da Papandreu. Una domanda che molti si pongono anche oggi, con un economista-banchiere, Papademos, al posto di Papandreu; e un altro economista, Monti, candidato a guidare un’ Italia in crisi finanziaria. Nelle piazze si grida “No alla dittatura dei banchieri”, “No alla politica serva della finanza”. Sono le stesse argomentazioni, solo meno articolate, dei tanti articoli che hanno denunciato il “commissariamento” dell’ Italia, con gli ispettori del Fmi, o la sovranità limitata imposta dalla lettera della Bce, e dai 39 quesiti dell’ Europa. Ma la risposta alla domanda di Lerner non è quella che sembrerebbe. La possibilità di indire un referendum, di fatto, su una dichiarazione unilaterale di default, attesta che il futuro della Grecia è deciso dal suo popolo e dai suoi governanti. Il default è un’ opzione che ogni Stato ha a disposizione: la sceglie se e quando i costi sociali di onorare il debito eccedono quelli del default. È già successo centinaia di volte. Nessun banchiere, Stato estero, o organismo internazionale gli può togliere, o limitare, questo privilegio, certificando che, per gli Stati sovrani, è la politica a prevalere sulle ragioni della finanza internazionale. La Grecia non ha rinunciato al referendum perché la Bce o la Merkel glielo hanno impedito, ma perché il default, oggi, non le conviene. La minaccia è stata usata efficacemente come arma per negoziare meglio il piano di salvataggio. Se e quando le dovesse convenire, la Grecia dichiarerà default. Ed è proprio la sovranità degli Stati sul debito estero a indurre i creditori a richiedere un premio per il rischio “paese”. Un premio che non esisterebbe se, in una dittatura della finanza, i banchieri potessero costringere gli Stati a onorare il debito, imponendogli qualsiasi aumento di imposte o espropriandoli delle loro attività. Così non è. Anzi nella crisi del debito sovrano europeo è la politica ad aver prevalso sulla finanza. Con l’ euro si è costituita un’ unione monetaria, non politica e fiscale. In pratica, si è concessa una linea di credito ai Paesi membri, a un costo uguale per tutti, a prescindere dalla credibilità dei loro governi o dalla loro struttura economica. A parte la Germania, tutti i Paesi dell’ Eurozona l’ hanno abbondantemente utilizzata, sviluppando disavanzi della bilancia dei pagamenti di parte corrente, misura dell’ importazione netta di capitali. Ogni Paese ha utilizzato questo nuovo credito come la politica locale ha stabilito, senza che i creditori internazionali, o l’ Europa, ponessero condizioni; e senza fornire garanzie. Sono le politiche nazionali ad aver sperperato queste risorse. In Grecia e Portogallo è stata la politica a usare l’ indebitamento a basso costo per far crescere a dismisura un’ amministrazione pubblica clientelare e inefficiente; a permettere il finanziamento di una colossale bolla immobiliare in Spagnae Irlanda.E in Italia è sempre la politica che ha sperperato il credito ottenuto grazie all’ euro, senza attuare le riforme necessarie per far uscire il Paese dalla stagnazione, ridurre l’ evasione e cancellare la corruzione. L’ euro è stato un grande esercizio di democrazia: per oltre un decennio, in ogni Paese le ragioni della politica hanno prevalso su quelle della finanza internazionale. Ma il credito agli Stati dell’ Eurozona aveva come unica garanzia la credibilità dei loro governi nell’ esercitare la sovranità sul debito. I paesi oggi in crisi sono quelli che hanno violato la fiducia dei mercati e perso ogni credibilità, a causa delle loro politiche.E ora non trovano più chi sia disposto a finanziari, se non pagando forti premi, per compensarli del rischio che, per l’ ennesima volta, gli Stati esercitino la loro sovranità, dichiarando default. Questo lo definirei dominio della politica sui mercati finanziari.
Alessandro Penati

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