Pierferdinando Casini e l’addio ai talk incasinati

mercoledì, 23 novembre 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Nel settembre scorso, da questa rubrica, proposi a tutti gli altri conduttori di talk show televisivi di stipulare concordemente una moratoria sugli ospiti incompetenti: “Liberiamo la fantasia, cari colleghi. Facciamo a meno delle solite facce in tv”.
In fondo la mia proposta (che per coerenza cerco di applicare da tempo il lunedì sera su La7) non è altro che l’espressione di un mutamento nel senso comune: se fino a ieri poteva risultare divertente il cipiglio con cui fingevano di duellare in tv gli esponenti tuttologi della politica italiana, come pupi al teatro delle marionette, o meglio ancora maschere nella commedia dell’arte, i morsi della crisi economica hanno trasformato da comica in drammatica la loro irrilevanza. Dà fastidio sentir balbettare frasi imparaticce sull’economia finanziaria da personaggi che ogni sera parlano con la stessa sicumera di giustizia, immigrazione, conflitto d’interessi, mercato del lavoro, storia, politica internazionale; soprattutto dà fastidio quando avverti che quella economia finanziaria ti sta cambiando in peggio la vita, mentre quei signori lì non la masticano proprio per nulla, e seppur privi di ricette trattano il tema come una baruffa qualsiasi delle tante.
Ho quindi appreso con divertito stupore che, nel giorno della nascita del governo Monti, il più assiduo tra i frequentatori di tali talk show, l’onnivoro Pier Ferdinando Casini, ha annunciato che d’ora in poi non vi parteciperà più. Lo ringrazio per l’adesione inconsapevole alla mia moratoria, fiducioso che resisterà nell’astinenza per un mese almeno. Il suo proposito è difatti specialmente virtuoso se si considera che da decenni il medesimo Casini vive una buona metà delle sue giornate in televisione e, di più, è sinceramente convinto di essere vivo in quanto frequenta la televisione.
Ricordo in proposito alcuni colloqui illuminanti con lui, all’epoca berlusconiano ultrà, e con il suo braccio destro Marco Follini. Lamentavano che da direttore del Tg1 io avessi soppresso il pastone assemblato ogni giorno da Francesco Pionati, nel quale Casini immancabile parlava agli italiani con frasette in pillole da circa dieci secondi al dì. Essi consideravano l’assiduità di tale presenza, benché il più delle volte generica e insulsa, come garanzia vitale per l’esistenza del loro piccolo partito. In ciò, sia ben chiaro, d’accordo con tutti gli altri. Tentai invano di dimostrargli che era molto meglio per lui essere intervistato ampiamente il giorno in cui avanzava una proposta significativa: mi vergogno a dirlo, ma gliene feci una per soddisfarlo allorquando dichiarò che bisognava sparare sugli scafisti trasportatori di immigrati albanesi. Lui però rimaneva convinto gli convenisse la pillola quotidiana fatta ingoiare ai telespettatori sia pure in dosi minime purché quotidiane.
Ora che sono cresciute le ambizioni politiche di Casini, e la sobrietà competente del governo Monti diventa una nuova moda, egli sputa nei piatti in cui tanto mangiò (e ancora mangerà). Per la precisione, vuole continuare a spacciarsi in pillole nei Tg per poi frequentare solo trasmissioni che lo intervistino individualmente, come si conviene a uno statista. Ma va là, l’unico vero quesito è: quanto resisterà il Pier? Nel frattempo pare lo abbia seguito a ruota l’altro Pier, ovvero Pierluigi Bersani. Bene. Mi auguro facciano scuola. Ne trarranno giovamento sia la politica che la televisione.

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