Perchè è malsana un’Europa germanizzata

mercoledì, 14 dicembre 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Sarò pure un attempato residuo della metà del secolo scorso –venuto al mondo neanche dieci anni dopo la catastrofe bellica, affiliato alla generazione dei baby boomers, e quindi coscritto dalla Fornero a sfondare i quarant’anni lavorativi- ma a me un’Europa a guida tedesca che si separa dall’Inghilterra suona malissimo. Mi fa paura. Sto sbagliando? Sono rétro?
Concedetemi almeno che mi trovo in buona compagnia. Lo stesso concetto trovo espresso con brutalità da Joschka Fischer, l’ex leader sessantottino addentratosi nella memoria dei crimini commessi dal suo popolo, divenuto protagonista del pacifismo tedesco, poi ministro degli Esteri e vicecancelliere allorquando l’Unione Europea fu allargata a est: “Il continente germanizzato è un’idea malsana”, ci ricorda Fischer, insieme al suo amico Daniel Cohn-Bendit che ha la fortuna di non sapere bene neppure lui stesso se è più francese o più tedesco. Preferite restare ai giudizi di casa nostra? Eccovi il titolo del quotidiano cattolico “Avvenire” sull’esito del vertice di Bruxelles, dove l’annuncio di un prossimo nuovo Trattato per l’unione fiscale, cioè soprattutto per la disciplina di bilancio, è stato sottoscritto da 26 capi di governo, ma non dal premier inglese David Cameron: “A forza di ‘nein’ ha vinto Berlino”. Più chiari di così…
Non voglio farla facile. Lo so che dall’altra parte della Manica il conservatorismo inglese è alimentato da brutti sentimenti antieuropei, nostalgie da ex impero britannico, un’ideologia atlantica dura a morire. Basti pensare al tabloid “Sun” che all’indomani della rottura intitola “Prendilo in quel posto, Europa”; o al più compassato “Times” che pubblica la vignetta in cui Cameron fa la pipì in testa a Sarkozy. Il Regno Unito si schiera, neanche troppo compattamente, con forti lacerazioni sociali, a tutela della sua autonoma sovranità, nell’illusione di salvare il proprio residuo benessere aggrappandosi alla city finanziaria londinese, seconda nel mondo solo a New York. Ma nel frattempo è proprio l’economia speculativa dei titoli tossici che ha già spezzato le gambe ad alcune banche britanniche, prima di allargare il contagio ai debiti sovrani dell’Europa continentale. L’isolazionismo britannico resta una brutta bestia anche nel fornirci un segnale d’allarme sulla direzione sbagliata intrapresa a Bruxelles in obbedienza a Berlino.
Altro che Immacolata Concezione, nella notte fra l’8 e il 9 dicembre 2011 a Bruxelles. Notte da lunghi coltelli in cui nessuno dei protagonisti ha concesso nulla a un’idea comunitaria e davvero federalista dell’Europa. Restando tutti gelosi, il francese Sarkozy per primo, del proprio potere statuale separato, hanno cercato un accordo fra governi per reggersi a vicenda nella bufera della speculazione e della recessione. Subendo tutti quanti il ricatto della più forte, la cancelliera Angela Merkel, per la quale l’Europa unita può darsi solo assumendo come bandiera l’ossessione dell’austerità, la disciplina di bilancio. E pazienza se ciò ha impedito già di soccorrere un popolo caduto in miseria, la Grecia, mentre impoverisce rapidamente i portoghesi, gli irlandesi, gli spagnoli e gli italiani. Pazienza se il buon senso suggerisce che stringere oggi i vincoli di bilancio, pur di giustificare un sostegno al pagamento dei debiti altrui, rende sempre più probabile il peggioramento della situazione. Nei giorni scorsi a Berlino ho incontrato giornalisti, economisti, intellettuali tedeschi non solo amichevoli ma dotati di raffinata sensibilità democratica. Non li temo di certo. Ma la storia ci insegna che l’economia, all’improvviso, può ottundere la mentalità delle masse e dei loro leader. Stiamoci attenti.

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