Cacciari e una citazione davvero inopportuna

martedì, 3 gennaio 2012

Massimo Cacciari reca un’offesa alla sua stessa intelligenza quando cita le “mani sporche” di don Milani, il borghese milanese trasferitosi fra i ragazzi di Barbiana, per giustificare la vicenda mondana di don Verzè, che per i suoi trasferimenti s’era comprato un aereo privato. Qui di seguito il mio articolo sul funerale di ieri, uscito su “La Repubblica”.
“Sic transit gloria mundi”, sentenziò Silvio Berlusconi in morte dell’altro suo amico scomparso nel 2011, Muammar Gheddafi; da lui onorato con il medesimo baciamano in cui s’era già esibito con don Luigi Verzè. Troppo facile ironizzare sull’assenza del Cavaliere (vedrete che spunterà una buona scusa) –ma anche del padre-padrone della sanità lombarda Roberto Formigoni- alla camera ardente e al funerale del sacerdote fondatore del San Raffaele cui aveva appaltato perfino il ministero della Salute, nella persona di Ferruccio Fazio.
Fa più impressione notare che l’estremo saluto all’uomo che impersonò la dimensione più misteriosa del potere milanese è stato disertato in blocco dai suoi esponenti danarosi ma pericolanti: quasi che temessero di partecipare non solo alle esequie di un sodale caduto in disgrazia, bensì alla celebrazione della propria rovina imminente. La Milano che conta se l’è data a gambe annusando chissà quali rivelazioni prossime venture. Già si sente orfana dell’altro grande vecchio di una stagione finita, Salvatore Ligresti, costretto a vendere i gioielli di famiglia nel tentativo di scongiurare il patatrac. E mentre attende tremebonda quali ammissioni possano fuoriuscire dal carcere in cui è detenuto il faccendiere ciellino Piero Daccò, subisce la violazione dell’omertà sulle “percentuali” che si dovevano pagare in ogni appalto importante, come testimoniato ieri dal costruttore Pierino Zammarchi recatosi in visita alla salma.
Non solo di uno scandalo e di un crac stiamo parlando, ma di un sistema opaco di arricchimento nel quale sono coinvolti potentati economici fino a ieri intoccabili, in una triangolazione di risorse che ha per epicentro la Milano degli affari ma che transita indistintamente per ambienti finanziari, ecclesiastici, politici, paradisi fiscali, senza escludere l’ipotesi del riciclaggio di proventi malavitosi.
La Milano dei Michele Sindona e dei Roberto Calvi non è certo nuova a questo genere di misteri. In passato si lasciò stregare da figure enigmatiche come Armando Verdiglione, poi cadute in disgrazia. Ma nel frattempo altri arricchimenti di dubbia origine si sono tradotti in solida egemonia nazionale –Berlusconi docet- mentre fenomeni socioculturali di ben altra consistenza, qual è Comunione e Liberazione, si strutturavano avvantaggiandosi anche di ramificazioni affaristiche. Don Verzè lì in mezzo s’è affermato come promotore d’eccellenza, portatore di un’ideologia al tempo stesso scientista e religiosa, suggestiva per la sua vocazione modernizzatrice a snaturare il privato sociale con rifornimenti di denaro all’apparenza inesauribili. Una spregiudicatezza che certo non turbava la superbia intellettuale di un Massimo Cacciari –almeno lui c’era, ieri, non s’è tirato indietro- ma, ben di più, capace di prendersi l’anima della città: come se a un’altra Milano fosse impensabile aggrapparsi.
Nel giorno della vile diserzione, sarebbe ingiusto dimenticare il tempo recente in cui al festeggiamento dei novant’anni di don Luigi Verzè parteciparono, di fianco al premier Berlusconi, anche personalità indiscusse quali il Cardinale Martini e il direttore del “Corriere della Sera”. Troppo facile, oggi, il ricorso alla categoria della “megalomania”. Non ce la caviamo col sacerdote “luci e ombre” che purtroppo ha macchiato la sua impresa meravigliosa. Se in tanti riconoscono che la disinvoltura di don Verzè nel maneggiare il denaro era palese e arcinota, bisognerà trarne le conseguenze: il potere ambrosiano non ne fu solo subornato, ma le tributò ammirazione, forse considerando che non vi fosse altra via, nella Milano contemporanea, per realizzare il talento. La bancarotta che impone un ricambio di classe dirigente perché non tornano più i conti economici, tanto che i potenti hanno paura a ritrovarsi insieme perfino a un funerale, si rivela così anche una bancarotta culturale. Com’era diverso, pochi giorni orsono, il funerale di Giorgio Bocca, coetaneo di don Verzè!

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